Jesper Just inaugura il programma di mostre internazionali al Museo Marino Marini di Firenze
L’artista danese, visto nell’ex Padiglione Danimarca a Venezia, è il primo protagonista del progetto di internazionalizzazione voluto dal nuovo corso della Fondazione fiorentina. Natura e tecnologia si incontrano in un discorso tra video e scultura
Torna in Italia, al Museo Marino Marini, Jesper Just (Copenaghen, 1974), dopo aver rappresentato la Danimarca alla 55esima Biennale di Venezia. La mostra Seminarium, fino al 20 marzo nel basement della Fondazione dedicata al maestro toscano, è la prima di un progetto di internazionalizzazione fortemente voluto dal nuovo Consiglio di Amministrazione da poco nominato (composto da Carlo Ferdinando Carnacini alla Presidenza e dai consiglieri Sergio Risaliti, Barbara Cinelli, Claudia Conte, Silvia Evangelisti, Francesco Neri, insieme ad Adriano Moracci, presidente del collegio sindacale, e i sindaci revisori Cristina Marchese e Alberto Pecori).
JESPER JUST: NATURA, ARTE E TECNOLOGIA A FIRENZE
Anche se tacito e non forzato, il legame tra Marino Marini e l’artista danese, nonostante di primo acchito non appaia, c’è. Nel percorso espositivo, congegnato con la curatrice Caroline Corbetta, è protagonista la relazione biunivoca tra uomo e natura, dove entrambi i termini del discorso sembrano prendere tenerezza e nutrimento l’uno dall’altro. La liquidità del mezzo tecnologico – una serie di monitor che Just ha progettato e portato appositamente con sé a Firenze –, nel quale galleggiano in uno stadio quasi ecografico corpi umani, fa da contraltare al gorgoglio degli alambicchi colmi d’acqua collegati ai video. Ospitano una collezione di piante locali, semplici, selvatiche, in un sistema progettato dall’artista che ne garantisce il benessere. Nel buio della cripta sono infatti i bagliori violacei emanati dai monitor a fornire la luce necessaria alla fotosintesi clorofilliana.
SEMINARIUM: QUANDO IL VIDEO SI FA SCULTURA
Se l’intero ambiente, carico di una misteriosa sensualità, è avvolto dalla voce suadente che scaturisce dall’unico, primo canale che mostra un volto umano all’interno della mostra, il resto delle “stazioni” che lo spettatore attraversa si muove progressivamente verso l’astrazione. Porzioni di corpi umani si smaterializzano, i volumi si fanno, nel nitore incoraggiato dai raggi ultravioletti, scultura. Ricostruendo, seppure in un discorso fortemente concettuale, un legame profondo, implicito con quella plastica classica che nella città di Firenze trova alcuni degli esempi di massimo splendore, e con la radice del museo che ospita l’intero progetto espositivo.
Santa Nastro
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