“Quei quattro quadri sono di Artemisia Gentileschi!”. Novità a Napoli
Il progetto curatoriale, che si concentra sul periodo napoletano della pittrice seicentesca indagando in particolar modo le sue collaborazioni con gli artisti locali, le attribuisce quattro nuove opere
È in corso fino al prossimo 19 marzo la mostra dedicata all’attività di Artemisia Gentileschi a Napoli alle Gallerie d’Italia di via Toledo. Il progetto, a cura di Antonio Ernesto Denunzio e Giuseppe Porzio in collaborazione con la National Gallery di Londra, il Museo e Real Bosco di Capodimonte, l’Archivio di Stato di Napoli e l’Università degli Studi “L’Orientale”, ha riunito in città una serie di lavori condotti dall’artista durante il suo lungo soggiorno partenopeo, in un lasso di tempo compreso tra il 1630 e il 1654, interrotto solo da una parentesi londinese tra la primavera del 1638 e quella del 1640.
LE NUOVE ATTRIBUZIONI DELLA MOSTRA ALLE GALLERIE D’ITALIA
E proprio il lavoro scientifico sull’esposizione napoletana – che si concentra sulle collaborazione della pittrice con artisti locali – è stato foriero di quattro nuove attribuzioni ad Artemisia, avallate da Denunzio e Porzio. Le quattro opere in questione – che ampliano il numero dei lavori conosciuti dell’artista a 65 – sono arrivate in prestito da collezioni pubbliche e private di Stati Uniti e Regno Unito, e accerterebbero la collaborazione della Gentileschi con altre figure di spicco della scena artistica napoletana del Seicento, come Bernardo Cavallino, Micco Spadaro e Onofrio Palumbo. Il Trionfo di Galatea (1650, ca.), in arrivo dalla National Gallery of Art di Washington, era stato finora attribuito a Cavallino, ma – spiegano i curatori nel catalogo della mostra in corso – “riteniamo che sia Artemisia la titolare della commissione (ricevuta da Don Antonio Ruffo, ndr) e l’ideatrice della composizione”, sebbene al risultato finale abbia dato un grande contributo Cavallino, a conferma della stretta collaborazione tra i due. Analogamente, si è proceduto a riattribuire il dipinto Susanna e i Vecchioni (1652), solo una delle molteplici variazioni sul tema eseguite dalla Gentileschi, conservato in collezione privata londinese. In precedenza dato alla paternità di Cavallino, battuto all’asta lo scorso gennaio da Sotheby’s New York, il quadro già riportava l’attribuzione alla pittrice. Anche in questo caso, con il contributo di Maria Cristina Terzaghi, si ipotizza una collaborazione tra i due artisti, sebbene di difficile interpretazione.
ARTEMISIA E LE COLLABORAZIONI A NAPOLI
Completano il quadro delle nuove attribuzioni due dipinti conservati presso il John and Mable Ringling Museum of Art di Sarasota (Florida), che il museo americano riconduce alla “bottega” di Artemisia. In mostra, invece, le opere raffiguranti Gli Israeliti che celebrano il ritorno di David e Betsabea al bagno (entrambi databili intorno al 1650), sono ricondotti alla mano dell’artista, in prima persona. Anche questi due quadri, però, sarebbero frutto di una compartecipazione di artisti, che a Napoli gravitano intorno allo studio della Gentileschi. Un passaggio importante – che si tratti o meno di attribuzioni certe – per approfondire il ruolo di Artemisia nella Napoli della metà del XVII secolo, e incentivare gli studi sulle modalità di lavoro dell’artista, evidentemente propensa a confrontarsi e collaborare con i pittori locali.
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