L’Apocalisse? Era ieri
Apocalypse è un bel programma andato in onda qualche settimana fa su Rete4. Di taglio documentaristico, è dedicato alla Seconda guerra mondiale, all'Olocausto e alla nascita del nazismo. Niente di eccezionale, fin qui - se non che i documenti storici, in gran parte inediti, sono tutti in HD e a colori.
Sembra un fatto banale, ma vedere Hitler saltellare di gioia alla notizia della presa di Parigi, e poter osservare il colore della sua divisa, lo rende, se possibile, molto più agghiacciante, perché ce lo avvicina inesorabilmente. Per lo stesso motivo, tutto il conflitto mondiale, da un fatto lontano in scala di grigi, ridiventa un avvenimento terribilmente contemporaneo.
Fra le tante nefandezze illustrate dai documenti filmati, alcune, relative ai misfatti nazisti, restano ancor più indelebili nella memoria. A un certo punto infatti, in un filmato sulle memorabilia nazi, oltre a un paralume di pelle umana, a collezioni di tatuaggi tagliati e staccati dai corpi dei prigionieri, a un teschio mummificato usato come fermacarte, spicca anche una testa umana in formaldeide, esattamente sezionata a metà dentro un contenitore trasparente.
La ripresa comincia dal lato completo, ma, ruotando lentamente, svela la parte tagliata con perfezione chirurgica: un taglio da autopsia, che rivela più di mille trattati la raccapricciante mistura di gusto per il macabro e precisione scientifica tipicamente nazista.
Ma l’immagine è anche un flash forward: impossibile non pensare a Mother and Child Divided di Damien Hirst (1993), le quattro grandi casse trasparenti che contengono ciascuna la metà di una vacca e di un vitello, sotto formaldeide – un’opera d’arte che riposa sullo stesso principio di sezionamento del cadavere.
Ora, naturalmente, questo accostamento può provocare due reazioni: la prima è l’associazione mentale diretta tra la simbologia nazista (la riduzione del vivente a mera “cosa”) e la poetica, o meglio l’etica, di Hirst (o di cui Hirst è portavoce). La seconda, invece, è la presa di distanza assoluta, basata sul fatto che quella di Hirst è “arte”, cioè qualcosa di formalmente assai simile, ma intenzionalmente diverso, anzi opposto all’ideologia della morte e della sopraffazione (infatti l’oggetto nazista è una testa umana, mentre Hirst usa un animale).
Che dire? In entrambe le interpretazioni qualcosa non quadra. Nel primo caso, l’analogia formale ha la meglio su tutto, ma questo porta a trascurare il fatto decisivo che l’arte contemporanea non sempre veicola significati immediatamente visibili, ma anche mentali, emotivi, sociali “invisibili”; nel secondo caso, d’altra parte, si “salta” proprio il problema centrale, cioè la stringente somiglianza tra il reperto nazista e l’opera d’arte.
E se la spiegazione consistesse in una terza opzione – cioè quella per cui entrambi questi artefatti (al di là del loro valore estetico, e anche etico) appartengono allo stessa atmosfera culturale, quella del XX secolo? E se Hirst fosse di fatto colui che – pur essendo oggettivamente lontano da un’ideologia nazionalsocialista – ha avuto il coraggio di svitare il tappo di un vaso di Pandora planetario, rendendo esperienza comune (il vedere un cadavere “da dentro”) quella che era una segreta perversione di pochi gerarchi impazziti di potere e ideologia ultrareazionaria? Questa “passione/ossessione” per il Reale, la pornografia ultra-anatomica, il superamento dei limiti dell’umano, della materia, del Visibile – non è ciò che ha caratterizzato da cima a fondo il Novecento?
Già. Ma ormai siamo da pezzo nel XXI secolo – e Hirst, intanto, per sopravvivere a se stesso, si è messo a dipingere (di propria mano) quadri di fiori con farfalle e pappagalli colorati. Per citare una battuta di Baudrillard, la domanda oggi diventa: “Che cosa fai dopo l’orgia?”. Che cosa succede, dopo l’Apocalisse? Ovvero: che mostra vai a vedere dopo il 21.12.2012?
Marco Senaldi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #8
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati