Prospero, pizzaiolo in esilio. La Tempesta di Shakespeare vista da Irina Brook
Anche a Salisburgo, le opere subiscono di buon grado adattamenti e contestualizzazioni. Tocca pure alla Tempesta di Shakespeare. E i risultati sono nient’affatto negativi.
La prosa, una delle sezioni del Festival di Salisburgo, è spesso ignorata dalla stampa. Ignorata poiché gli spettacoli presentati – anche i più innovativi, come il Faust integrale di Goethe, dalle 17 di sera alle 5 del mattino del giorno successivo – sono quasi sempre in tedesco e raramente arrivano in Italia. Il Festival 2012 offre due regie di Irina Brook in una ex-fabbrica metalmeccanica (adattata a sala per 700 posti): una rielaborazione di Peer Gynt di Henrik Ibsen e la Tempesta di Shakespeare. La prima è in inglese – tre ore e mezzo senza intervallo –, la seconda in francese intercalato da dialoghi in italiano e in dialetto napoletano e da qualche imprecazione in puro anglosassone, un’ora e quarantacinque minuti senza intervallo. La Tempesta, o meglio La Tempête – prodotta dalla Casa della Cultura di Nevers e de la Nièvres –, la si vedrà probabilmente a Roma e a Milano.
Irina Brook è figlia d’arte, ma cresciuta professionalmente a New York. Prima di tornare in Francia ha recepito gli aspetti migliori dell’avanguardia americana. In Italia si conoscono principalmente le sue regie liriche: una Traviata ambientata quasi interamente in una palestra con piscina, che una diecina di anni fa non venne apprezzata dal pubblico borghese delle “prime” bolognesi, e una Cenerentola, invece, in cui la vicenda si svolge in una cucina simil-Scavolini (accolta, sempre al Comunale di Bologna, con un certo favore). I suoi lavori più interessanti, però, sono quelli in cui, con un budget modesto e un cast multi-nazionale e multi-etnico, affronta i classici. Il suo Waiting for the Dream, tratto da A Midsummer Night’s Dream da Shakespeare, respinto da un grande teatro, è stato poi realizzato da una piccola cooperativa e ha collezionato, dal 2007, già più di 300 repliche in vari Paesi.
Veniamo a La Tempête. Una scena unica: i resti di una povera trattoria-pizzeria su una spiaggia desolata. Cinque attori di varie origini (un italiano, un polacco, un australiano, due francesi ma dai nomi orientali), un po’ di musica registrata (da canzonette napoletane e arie d’opera in esecuzioni d’epoca a 78 giri). I cinque interpreti recitano (in francese ma con intercalari di altre lingue), danzano, canticchiano e danno vita a sette personaggi. Prospero non è un Duca deposto da un fratello sleale, ma è stato il proprietario del maggiore ristorante di Napoli da dove Alonso, in combutta con camerieri infedeli, lo ha cacciato. Dopo 27 anni, Prospero, ridotto a un povero oste di un isola semi-abbandonata, con il cameriere Ariele e il cane Calibano, organizza la tempesta che fa naufragare Alonso & Co., mette Ferdinando (figlio del suo rivale) alla prova come cuoco e gli consente di sposare la propria adorata figlia Miranda, perdona tutti e li rispedisce a Napoli, mentre lui resta sull’isolotto a meditare sulla “sostanza dei sogni”, la vera essenza di tutti gli uomini e di tutte le donne.
Lo spettacolo è veloce e accattivante. Il pubblico – in gran misura proveniente dal mondo culturale tedesco – lo segue con passione aiutato dai sovra-titoli. Bravissimi gli attori: Renato Giuliani, Ysmahane Yaquini, Bart David Soroczynsky, Hovnatan Havédikian, Scott Roehler.
Giuseppe Pennisi
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