Il geniale Antonio Canova in mostra a Bassano del Grappa
Nel 2022 si sono celebrati i 200 anni dalla morte di Antonio Canova. Il Museo Civico di Bassano del Grappa gli rende omaggio con una mostra che include anche un’opera dalla storia eccezionale
Dagli Anni Ottanta del Settecento l’atelier romano di Antonio Canova (Possagno, 1757 – Venezia, 1822) divenne una meta irrinunciabile per i tanti viaggiatori internazionali del Grand Tour che percorrevano l’Italia in lungo e in largo. Lo scultore nato a pochi chilometri da Bassano del Grappa era già allora una celebrità. E non si risparmiava nell’accoglienza di chi voleva conoscere da vicino il processo creativo grazie al quale realizzava le sue sculture “classiche”, candide ed eleganti. Lo studio di via delle Colonnette aveva una parte “pubblica” e una privata, riservata solo agli amici più intimi e in cui erano ospitate la collezione d’arte e la biblioteca; qui l’artista disegnava e ideava le opere. Se ci siamo dilungati sull’atelier di Canova è perché la mostra Io, Canova. Genio europeo in corso al Museo Civico di Bassano comincia proprio con una ricostruzione ideale di quel “luogo unico sulla terra”, come lo definì Stendhal. Canova si stabilì a Roma dopo aver visitato Ferrara, Bologna, Firenze, Roma e Napoli. Nella Città Eterna frequentò l’Accademia Capitolina e le lezioni di Pompeo Batoni: i disegni esposti testimoniano l’intenso studio sui modelli antichi, mentre gessi, schizzi, modellini in terracotta documentano la genesi delle opere, dall’idea al marmo. Per la prima volta è esposta anche una selezione di opere della collezione privata di Canova: sono tele di Moretto da Brescia, di Valentin Lefévre, ma più di tutti lo scultore cercava di accaparrarsi degli autografi di Giambattista Tiepolo, una scelta quasi incredibile per un maestro del Neoclassicismo. Al centro della sala si erge una “selva” affollata di gessi, tra cui quelli della Venere Italica e di Ebe, poi busti di divinità antiche e ritratti di personaggi dell’epoca.
CANOVA DESIDERATO IN TUTTA EUROPA
Accanto alla prima sezione si dipanano gli altri due capitoli del progetto espositivo che può vantare, oltre a circa 140 opere, anche un allestimento tanto leggero quanto suggestivo. “Canova e l’Europa” si addentra negli intensi rapporti tra lo scultore e i suoi committenti. Tutti aspiravano a possedere un’opera del più grande artista vivente, che riscuoteva un successo straordinario soprattutto nel Regno Unito. E se si parla di “tutti”, si comprende anche il re Giorgio IV – possiamo vedere il suo ritratto dipinto da Thomas Lawrence –, che gli commissionò numerosi capolavori come Venere e Marte. Ma non fu da meno il ricco banchiere Alexander Baring – un altro ritratto di Lawrence ne svela le fattezze –, che riuscì a procurarsi ben cinque marmi di Canova. Il dialogo tra committenti e opere è assai intenso, come nel caso della principessa Leopoldina Esterházy Liechtenstein, di cui si espone il monumentale marmo che la raffigura intenta a dipingere e a fianco una sua gouache con un paesaggio fluviale. O ancora, nel caso del Monumento funerario di Clemente XIII, evocato dal ritratto del papa di Anton Raphaël Mengs, dal grande busto in gesso di Canova, dal progetto su carta, dalla terracotta per La religione cattolica, con relativo gesso, e da vari disegni: il monumento non si può certo spostare dalla sua sede, ma la “ricostruzione” lo rende perfettamente comprensibile.
LUCI E OMBRE SU NAPOLEONE
L’affascinante gioco di rimandi continua nella parte intitolata “Canova nella storia”. Vi si incontra in primo luogo lui, Napoleone Bonaparte (il bel ritratto è di François Gérard), che ebbe un ruolo cruciale nella fortuna di Canova, nonostante lo scultore si dimostrasse spesso riluttante ad accettarne le committenze e ne contestasse sia le mire imperialistiche sia le gravi spoliazioni di opere d’arte italiane. L’artista si recò dal futuro imperatore già nel 1802: qualche anno dopo inviò a Parigi la grande scultura Napoleone come Marte pacificatore, che peraltro non fu particolarmente apprezzata. Canova fu chiamato di nuovo nella capitale francese nel 1810: ci si recò, ma rifiutò di risiedere a corte, rifiutò la Legion d’Onore e accettò invece le richieste di alcuni tra i più ferventi oppositori del regime. In mostra fanno capolino le effigi di numerosi esponenti dell’entourage napoleonico: con l’imperatrice Joséphine de Beauharnais, Canova instaurò un rapporto affettuoso e la sovrana, tra le altre opere, gli commissionò le celebri Grazie. Un ultimo viaggio a Parigi si data al 1815, dopo Waterloo: con non poche difficoltà riuscì a riportare in patria molte delle opere sottratte dai francesi – un aspetto poco noto, ma che completa il profilo di un uomo che non fu solo scultore.
Un’ultima nota. A Bassano manca qualcosa: dall’Ermitage di San Pietroburgo dovevano giungere alcuni importantissimi marmi, mentre dal Museo Nazionale di Kiev era stato concesso il prestito della Pace. “Allo scoppio del conflitto russo-ucraino, la rinuncia a tali prestiti è stata inevitabile e convinta. La speranza e l’augurio di tutti è che le opere di Canova dalla Russia e dall’Ucraina possano essere esposte nuovamente assieme, a testimonianza di nuovi tempi di serenità, di pace e di dialogo”, dichiarano con sincera partecipazione i curatori.
CANOVA DA SCULTORE UFFICIALE A “IMBALLATORE”
“Sono stato delle notti senza dormire, e dei giorni molti senza desinare, e sempre, sempre all’estremo convulso”: ma da cosa fu causato tal drammatico stato di Antonio Canova? Lo scultore nel 1815 fu nominato Commissario straordinario da papa Pio VII e incaricato di una missione assai delicata: doveva recarsi a Parigi per convincere i francesi a restituire il bottino di opere d’arte illecitamente accumulato durante le guerre napoleoniche e ospitato in gran parte nell’allora Musée Napoléon (oggi Louvre). L’impresa non fu semplice: Canova incontrò l’ostilità di Luigi XVIII e di molta parte dei francesi, che cominciarono a chiamarlo “l’imballatore” e solo grazie all’appoggio degli inglesi lo scultore/commissario riuscì a far tornare in patria 249 opere (su 506) caricandole su 41 carri trainati da 200 cavalli. Tra queste a Bassano sono esposti una straordinaria Deposizione di Paolo Veronese, il gesso del Laocoonte dai Musei Vaticani, La Fortuna di Guido Reni, ma il prezioso carico trasportava pure l’Apollo del Belvedere, la Deposizione di Caravaggio e centinaia di altri capolavori.
Marta Santacatterina
Articolo pubblicato su Grandi Mostre #31
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