Bettina Buck – Finding Form
Una mostra dedicata al lavoro dell’artista tedesca Bettina Buck (Colonia, 1974 – Berlino 2018), a cura di Davide Ferri, tra i Main project di ART CITY Bologna 2023 in occasione di Arte Fiera.
Comunicato stampa
Nella Sala Convegni di Banca di Bologna presso Palazzo De’ Toschi dal 31 gennaio al 19 febbraio apre al pubblico Finding Form, una mostra dedicata al lavoro dell’artista tedesca Bettina Buck (Colonia, 1974 – Berlino 2018), a cura di Davide Ferri, tra i Main project di ART CITY Bologna 2023 in occasione di Arte Fiera.
Finding Form restituisce il percorso dell’artista a partire dalla sua ricerca ventennale sulla scultura come tensione verso una forma che è sempre parte di un processo in divenire, temporanea: a questo rinvia in maniera diretta il titolo della mostra.
Il progetto espositivo si articola attorno ad alcuni termini specifici della ricerca di Buck: la gravità, intesa come forza a cui la forma si assoggetta e cede, talvolta fino al suo azzeramento; l’occultamento, allusione a una vita segreta della scultura, a una sua forma immaginata e narrabile più che percepita con i sensi; infine, una certa idea di domestico che identifica la scultura come qualcosa che prende forma nei nostri immediati dintorni alterando, accostando, piegando cose che senza l’intervento dell’artista restano, appunto, cose.
La mostra si precisa anche come una messa a fuoco sulla pratica di Buck, contraddistinta dall’uso di materiali industriali comunemente impiegati negli spazi privati – gommapiuma, piastrelle, schiuma di lattice, polistirolo, moquette, plastica – e connotata da una gamma di gesti semplici, che con ironia e precisione ne sovvertono il senso. In ciascuno dei lavori in mostra il corpo è centrale. È l’unità di misura della scultura, e ne è anche metafora: la scultura, come il corpo, cerca la propria forma nel tempo. La cambia. Prende spazio. È spazio.
Il baricentro della mostra è Interlude, video che documenta una camminata solitaria nella campagna inglese, in cui l’artista è ripresa mentre trascina una forma di gommapiuma che può diventare molte cose: scultura potenziale, semplice ingombro o fardello, seduta e punto d’osservazione sul paesaggio. Lo stesso parallelepipedo di gommapiuma – scultura, ma anche oggetto di scena – è trasportato nelle sale della Galleria Nazionale di Roma in Another Interlude. Nelle sale del museo entra in dialogo con un paesaggio culturale, cambiando di volta in volta di senso e trasformando lo stesso corpo della performer, a contatto con le opere, i visitatori, l’architettura del museo, in figura.
Le opere esposte si organizzano attorno a questi due lavori per assonanze e contrappunti, evocando la natura dialogica e performativa del lavoro di Buck. 3 Upright è una scultura composta da tre elementi autoportanti. Nel corso della mostra le tre strutture cambieranno forma per effetto della gravità, fino a crollare: pur alludendo a un elemento strutturale – metafora di forza e solidità – i tre elementi sono invece gusci estremamente fragili dove la tensione tra due materiali diversi come la ceramica e il lattice è destinata a provocare uno spostamento nell’ordine delle tessere, una forma in continua evoluzione, e infine la caduta. Il punto di crollo è inscritto nella sostanza stessa dell’opera, ed è allora, nel momento dell’annientamento dell’opera, che ci viene svelata la sua natura di superficie. Medusa Block ci invita a guardare l’opera da due punti di vista in cui ognuno esclude l’altro: o consideriamo il pilastro di gommapiuma come scultura, oppure lo identifichiamo come l’involucro che ci impedisce di vedere la scultura in bronzo che esso contiene e che possiamo solo immaginare. La didascalia di Object (Proving), un parallelepipedo in creta cruda, trasportato in automobile dall’artista da Londra a Berlino, dove è stato cotto, riporta le due misure: quella l’originaria e quella ex post. Lo scarto tra le due racconta il processo che lo ha portato davanti ai nostri occhi. In Pressed Foam il peso della pietra sulla gommapiuma agisce silenziosamente, e appena percettibilmente, mentre in Oracle lips lo stesso principio (il peso di una cosa su di un’altra) serve a dare forma a un’immagine ironica.
Le opere in mostra sono tutte impegnate in un’azione: ci insegnano che il tempo imprime nel corpo della scultura – come nel nostro – una forma che anche se diversa da quella originaria può rivelarsi più profonda, ampia e imprevista.
Bettina Buck (*1974 Colonia; †2018 Berlino) ha studiato all’Academy of Media Arts (KHM) di Colonia e ha conseguito il suo Master of Fine Art al Goldsmiths College di Londra nel 2003. Sue mostre personali sono state organizzate presso Monitor, Roma (2010); Galleri Opdahl, Stavanger/Berlino (2011, 2012); Galerie Mirko Mayer, Colonia (2004, 2006, 2009), Rokeby Gallery, Londra (2008, 2010, 2012, 2015), Åplus, Berlino (2017). Il suo lavoro è stato esposto in numerose mostre collettive presso spazi internazionali, tra cui Museum Ludwig, Colonia (2000); Centro Cultural de Belém, Lisbona (2006); Museo de la Ciudad, Quito (2007); Victoria & Albert Museum, Londra (2011); David Roberts Art Foundation, Londra (2012); P420, Bologna (2016); Kai 10, Düsseldorf (2013); Schloss Burgau, Düren (2018); Le Murate, Firenze (2019); Capc, Bordeaux (2021); GAM, Torino (2022), solo per citarne alcune.
L’archivio delle opere è gestito dal Bureau Bettina Buck, con sede a Berlino. Responsabili del progetto sono Martin Eberle, photo designer, coniuge ed erede dell’artista e John Reardon, stretto collaboratore di Buck e attualmente ‘Artist in residence’ al Goldsmiths di Londra dove dirige un corso specialistico in ‘Arts and Politics’.