Il fighettismo degli artisti commentato da un’artista

Prende spunto da un articolo di Christian Caliandro pubblicato su queste pagine la riflessione di Letizia Cariello (LETIA) sul ruolo e l’opera degli artisti oggi. Tra fighettismo, dolore e responsabilità

Sul numero di Artribune del 10 gennaio scorso ho trovato un articolo di Christian Caliandro che mi ha estratto un soffio di sollievo, una specie di “finalmente”. Titolo e sottotitolo: L’arte può ancora cambiare il mondo? Se l’arte esce dai suoi recinti e torna a far parte della realtà, allora può mettere in scacco le logiche ‘fighette’ e anche fare i conti con il dolore”. Musica per le mie orecchie; in meno di tre righe una serie di parole-chiave particolarmente significative e preziose: recinti/realtà/fighetti/dolore. Poco più avanti ecco l’espressione ‘artista fighetto’. Non ho ancora letto il testo e già penso “era ora che qualcuno riprendesse quelle parole”. Senza nulla togliere alla riflessione sviluppata nell’articolo, per me era già più che sufficiente il fatto che la questione fosse stata posta semplicemente indicando quelle parole.
Non dispongo delle conoscenze teoriche che potrebbero sostenere una reazione scientificamente motivata ai temi dell’articolo. Ho pensato che fosse un argomento difficile ma davvero attuale e soprattutto doveroso. È proprio questo che mi sta a cuore: il fatto che spesso ciò che conta sia avere il coraggio di nominare e condividere certe parole e questioni (perfino a prescindere dalle opinioni che vengono espresse)
Fatico a vedere la differenza fra la condizione di persona e quella di artista, cioè fatico a vedere i ‘ruoli’. Tuttavia trovo i temi, così come li ha proposti Caliandro, significativi e necessari nel tempo che stiamo vivendo, perché sono espressi in modo tale da chiamare all’ascolto ogni ‘tipologia’ (chissà se si può dire tipologia) di vita. Chiama in causa una serie di parole che si sono risvegliate in me nel corso della lettura e che vorrei allineare a mia volta qui, senz’altra ambizione se non la condivisione.

Letizia Cariello. Il tuo cielo è verde. Exhibition view at Il Filatoio, Caraglio 2021. Photo Mattia Gaido MAG Photos

Letizia Cariello. Il tuo cielo è verde. Exhibition view at Il Filatoio, Caraglio 2021. Photo Mattia Gaido MAG Photos

VOCAZIONE E FIGHETTISMO

La prima parola che mi è venuta in mente è stata vocazione, rischiosissima per il fatto di essere stata utilizzata troppo spesso in riferimento alla confessione religiosa.
Sono vari gli approfondimenti e i riferimenti che Caliandro mette in fila; quello del “fighettismo dell’artista” ‒ e io aggiungo di tutti coloro che a qualsiasi titolo calcano terreni che lo incrociano –, ad esempio, per me richiama direttamente i concetti di autoanalisi, verità, lealtà. Intendo quelle parole riferite alla necessità (senza eccezioni) di antidoti di cui varrebbe la pena dotarsi, partendo dalla consapevolezza che nessuno sia immune dal precipitare nell’ideologia o nella posa. Soprattutto nell’illusione che, una volta raggiunta una posizione, per quanto adamantina, questa sia destinata a diventare una condizione acquisita per sempre. La notizia temo che sia il famoso “ieri non avevo le informazioni che ho oggi”. Personalmente mi sono rassegnata al fatto che l’antidoto ideale sia a disposizione solamente a livello teorico: si tratterebbe della possibilità di astrarsi dal contesto per guardare le cose dal di fuori.  Purtroppo, come aveva fatto già notare Einstein a proposito dell’uomo che studia la natura e descrive il mondo pensando di potere parlare di un quadro in cui è immerso come se lo analizzasse dall’esterno, è impossibile uscire anche solo per un istante dalla scena per osservarla dall’esterno e poi rientrare in campo. Una cosa, però, credo sia possibile ed è forse quella che conta: è sentirne la necessità (vedere meglio).
Tale necessità appartiene, mi sembra, a quei sentimenti (altra parola rischiosissima) che pretendono la consapevolezza che, invece di persistere nel bacchettare il mondo inondandolo di soluzioni certe, potrebbe a volte essere una conquista dell’Everest la sana abitudine dell’autoanalisi. Non dico di efficacia certa, ma quantomeno come postura.

“Mettere in atto la condizione del ricercare, secondo me, è l’esperienza più irresistibile e attraente, credo anche che raramente sia possibile fingerla

A questo proposito ho un ricordo bellissimo: una notte ricordo di aver visto in tv un’intervista a Melotti che era pura poesia. Una specie di inseguimento del giornalista nei confronti di un uomo gentile, di una riservatezza reale ed elegante (altra parola rischiosa), con una sequela di domande polemiche che speravano forse di ottenere delle rivendicazioni polemiche da parte di Melotti. A un certo punto, velatamente spazientito, Melotti decidere di chiudere trappole e trabocchetti con la risposta “ma cosa vuole, noi stavamo fra noialtri”. Come dire, non abbiamo mai sentito il bisogno di impartire lezioni, la nostra esigenza era di lavorare, di essere, di scambiarci pensieri e sentimenti. Di mettere “lì” un lavoro.
Ha cambiato il mondo l’opera di Melotti? Il mio sì, certamente, e ho motivo di credere anche quello di diversi altri. Il cambiamento si è prodotto naturalmente mettendo in campo un agente energetico costituito dalle presenze delle singole opere e dalle opere in sequenza che, con i tempi i modi e le circostanze che si sono sviluppati srotolandosi lungo i giorni, hanno agito come magneti che hanno prodotto condizioni fisiche capaci di agire sui pensieri e i sentimenti che li hanno guidati; energie nel cui flusso si sono svolte le vite e credo anche le scelte di tanta gente. Magari molto di più di quanto esse stesse hanno realizzato (cioè compreso).

Letizia Cariello. Il tuo cielo è verde. Exhibition view at Il Filatoio, Caraglio 2021. Photo Mattia Gaido MAG Photos

Letizia Cariello. Il tuo cielo è verde. Exhibition view at Il Filatoio, Caraglio 2021. Photo Mattia Gaido MAG Photos

ARTISTI, RESPONSABILITÀ E DOLORE

Mi riesce difficile, specialmente in questo momento di indecise ma urlate verità, immaginare un grande calco che venga applicato alla collettività di un sistema dall’alto, con lo scopo di correggere/guarire. Mi sento più incline a dare fiducia a qualsiasi input sia in grado di risvegliare risposte personali, perché le vedo potenzialmente più efficaci nell’incidere sulla mia postura senza diventare modelli formali, senza esimermi dalla continua ricerca e aggiustamento personale della mia postura. Forse qui il termine è responsabilità/consapevolezza. Non essere protetti da un metodo blindato, forse, comporta il totale coinvolgimento: del tipo di quello del puro folle. (?)
Certo non è una garanzia di successo, ma neppure di sconfitta. Non c’è il glamour del beautiful loser e nemmeno la protezione di una qualsiasi appartenenza, se si esclude quella all’essere in vita. Eppure, mi pare la cosa più vicina a quel concetto di energia informata che da ogni parte spiffera e mi pare venga sempre più spesso evocato. Un continuo evolversi come sinonimo di “presenza in vita”. Forse anche meno noioso e davvero traducibile nelle personali nostre biografie e percorsi.
In questo caso l’essere allergica all’uso dell’opera in quanto tale potrebbe essere un possibile appiglio. Ogni appiglio, però, resta temporaneo se si vuole conservare il diritto di muoversi. Del resto, la stazione eretta, lo stare-in-piedi non è forse modello di uno stato ottenuto grazie a una costellazione di spinte e controspinte che compensano la caduta? E la vita dal punto di vista del biologo non si distingue per il fatto di essere in costante trasformazione? E cosa c’è di più vivente di un’opera (non solo nelle arti definite “visive”)?
Mettere in atto la condizione del ricercare, secondo me, è l’esperienza più irresistibile e attraente, credo anche che raramente sia possibile fingerla. Forse non è un caso che siano le parole pragmatismo/carrierismo/saggezza depressiva alcune di quelle che hanno calamitato la mia vista nel testo di Caliandro.
Devo dire, poi, che quando sono arrivata a riconnettere, allora non ho potuto più resistere a prendere carta e penna (sì, ho scritto le mie riflessioni a mano prima di pensare di condividerle). Ed ecco sopraggiungere un’altra parola magica e pericolosa: dolore, davanti a cui mi sono chiesta: “ma non sarà un fraintendimento del termine insuccesso?” E quindi: che cos’è veramente il successo? Non starà a sua volta al posto di felicità? Altra parola pericolosa.
Proseguendo nella lettura, tutto mi portava a riflettere su quanto la nostra postura possa incidere e, nel tempo, produrre perfino ipocrisia e quelle barriere che ‘gente’ come per esempio Melotti; don Milani; Pasolini o Morandi; Gadda, Camus, Pontormo, Giacometti (la mia eterogenea “lista di umani “sarebbe lunghissima) hanno forse sperato di vedere dissolversi. Ciascuno a suo modo e con i distinguo che darei per premesse. Un desiderio di liberarsi da atteggiamenti sostanzialmente moralisti scegliendo, in varie declinazioni caratteriali, sostanzialmente un totale coinvolgimento personale da puro folle.
Ecco arrivare la parola gusto, proseguendo nella lettura: e i gusti cosa sono? Mi domando. Codici di appartenenza? Rischia di diventare un rompicapo se preso solo dal lato ‘mentale’ – penso ‒; comporta per forza una revisione del concetto di tempo, magari in un eterno presente che potrebbe essere l’identità del pensante (anche tenendo conto del fatto che è incarnato in un determinato periodo storico etc. etc.).

Letizia Cariello - Zio Albert - veduta della mostra presso la Galleria Riccardo Crespi, Milano 2012 - photo Manuela Luise

Letizia Cariello – Zio Albert – veduta della mostra presso la Galleria Riccardo Crespi, Milano 2012 – photo Manuela Luise

“Rifuggire da ogni forma di comprensione del dolore è la solita vecchia fuga dallo scenario della morte

ARTE IN POSA

Sono arrivata alla parola conservatori, e questa rimbalza sul termine libertà. Di nuovo, la confesserei e la augurerei come aspirazione onesta, nei casi migliori. Caliandro subito dopo fa riferimento al “bisogno di essere accettati” ‒ da una forma di potere, penso io. Mi viene in mente la scintillante differenza fra potere e potenza. Ancora una volta il lavoro interiore (per chi lo vuole fare), presupposto di qualsiasi sguardo alla collettività.
Il dolore come possibilità di comprensione: vedo questa espressione di Caliandro come una indicazione ricchissima, che mi pare sia l’indicazione di fondo principale che sento nel suo discorso. Mi fa pensare alla parola sintomo, che mi sembra anche una proposta di progetto, perché sottintende un messaggio che va sviluppato in una serie di decisioni e obbliga a una risposta finale. In fondo si tratta dell’intenzione di non scaricare su altri le nostre responsabilità personali.
Ma c’è un’altra parola che non è scritta eppure mi appare sottintesa, ed è morte: rifuggire da ogni forma di comprensione del dolore è la solita vecchia fuga dallo scenario della morte. Non è un caso che arrivi immediatamente il termine contemplazione, anch’esso usurato dagli usi confessionali eppure tanto potente. Vedere è contemplare e contemplare è comprendere-sentendo, oltre la vecchia separazione cartesiana della cosa cogitans dalla cosa extensa.
Così mi raggiungono le immagini di quelle bellissime foto in cui c’è Matisse che, dal suo letto, disegna con una specie di lunghissimo bastone-spada-pennello. E guarda e vede. E vede e capisce. Si tratta di quella conoscenza sottile che alcuni trovano ancora innominabile, temendo di essere visti come degli invasati esoteristi e che a me richiama anche la parola intuizione.
Tu come la vedi?”, si chiede quando uno vuole sapere veramente e nel profondo da un altro qualcosa di molto serio su una questione importante. Immaginazione del presente e del futuro: la sperimento a volte davanti a certi fatti che sono romanzi; musiche; ambienti; disegni e opere di ogni genere che vivono in una condizione non soggetta alla concezione lineare del tempo che ci tiriamo dietro come una ridicola certezza. Che cosa può fare l’arte una volta abbandonati gli schemi legati all’opera? Domanda Caliandro, una volta esposta in uno spazio cioè, penso io, una volta incarnata l’energia nella materia e diventata materia densa informata.
Impossibile restare incolumi: una volta trasmesso, il messaggio-opera determina un campo di energie, visibili più o meno. Aggiungerei alla lista dei luoghi di collocazione della “bomba” che enumera l’articolo anche le abitazioni, spesso trasformate in teatri grazie ai quali l’opera finisce spesso col prendersi l’ingrato compito di fare da maschera qualche volta e da uniforme qualche altra. Si parla poi di posa, quindi penso a qualcosa di finto, a un atteggiamento. Abbandonare le pose non è plurale come intenzione. Ho ancora una volta a che fare con qualcosa che presuppone la consapevolezza personale di prendere delle pose, la condizione del ricercare come funzione vitale di cui si diceva sopra.
La lotta politica ha ceduto il passo a futili litigi su chi deve amministrare”, continua il pezzo: questo mi permette di mettere a fuoco ancor meglio che l’attenzione debba concentrarsi sul come più che sul “chi”, essendo tutti indistintamente passibili di smemoratezza e d’incoerenza.

Letizia Cariello (LETIA) Calendario Antico, penna e ricamo su lenzuolo antico telaio tondo, 2021

Letizia Cariello (LETIA) Calendario Antico, penna e ricamo su lenzuolo antico telaio tondo, 2021

IL RUOLO DI ARTISTI E OPERA

E ancora, si parla di innovazione sostituita da restrospezione: qui l’associazione spontanea, la parola evocata che mi si presenta è ri-nnovazione (lo so che il termine non esisterebbe).
Se l’opera e l’autore tornano a fare parte della realtà, l’opera e il suo autore hanno di nuovo la chance di cambiare le cose”, questo me lo auguro, ovviamente. Eppure, la realtà cambia continuamente ed è soggettiva più di quanto non si voglia ammettere.
La richiesta di verità probabilmente è da trasferire dall’esterno (quello che viene indicato convenzionalmente come “luogo del reale) all’interno o, meglio, all’interiore, cioè al soggetto, e sono consapevole di quanto ciò possa suonar ingenuo a tanti.
A Monaco di Baviera c’è una statua che si chiama Friedensengel, un angelo che non accetta indecisioni, non gli interessano le scuse, non garantisce la vittoria ma mostra una condizione.
L’opera informata (cioè energia entrata nella materia forma): chissà se potrebbe essere un’immagine di riferimento.
Il vecchio dualismo spirito-materia potrebbe essere gestito aggiornandoci al dato di fatto che abbiamo materia visibile e materia invisibile, che non per questo non appartiene alla materia. Lo dicono a voce sempre più alta i fisici quantistici.
Alla fine di questo dialogo, mi ritrovo ancora con la parola riconnettere che mi aveva chiamata nella parte iniziale della lettura dopo la parola fighetto, che traduco come un invito non moralistico al lettore a entrare nelle azioni in prima persona. Era per quello che mi piaceva tanto, una azione continua, cioè una postura. Cioè l’esporsi avendo superato l’Ego.
Un tentare di essere puri. Cosa non obbligatoria, certamente, ma da riconoscere sì e, assolutamente, da rispettare. Se non altro come intenzione.

Letizia Cariello (LETIA)

https://www.letiziacariello.com/

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Letizia Cariello (LETIA)

Letizia Cariello (LETIA)

Artista e docente di Anatomia Artistica all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano.

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