L’anno di Marina. Bob Wilson racconta la Abramovic
Platea entusiasta in sala Darsena per “Bob Wilson’s Life and Death of Marina Abramovic”, ultimo film della serie Women’s Tales delle Giornate degli Autori. E la Mostra del Cinema continua a strizzare l’occhio alle discipline che affiancano la settima arte.
“Il mio funerale avverrà in tre luoghi diversi e contemporaneamente”, dice Marina Abramovic, e Bob Wilson risponde “Sounds good”. È così che comincia l’avventura teatrale che racconta la vita della celebre performer montenegrina. Ma è Giada Colagrande, che già dal 1997 al 2000 aveva partecipato al progetto d’arte contemporanea Volume, realizzando una serie di ritratti di sette artisti contemporanei (Jannis Kounellis, Alfredo Pirri, Bernhard Rüdiger, Nunzio, Raimund Kummer, Gianni Dessì, Maurizio Savini e Sol LeWitt), che ha avuto l’idea di documentare l’incontro epico fra la Abramovic e Wilson. Lui, noto “per i suoi spettacoli dallo stile austero, l’illuminazione sublime, le scene lente e le spesso estreme proporzioni di spazio e tempo”, è riconosciuto come uno dei più influenti registi teatrali della sua epoca dai tempi di Einstein on th Beach, scritta insieme al compositore Philip Glass. Lei, performer che dagli Anni Settanta ha incentrato il suo lavoro sull’autolesionismo e sul dolore fisico. Famoso l’happening Rhythm5 dove, oltre alla conoscenza, stava per perdere la vita in un cerchio di fuoco ed è stata salvata da uno spettatore.
Bob Wilson’s Life and Death of Marina Abramovic ipnotizza dalle prime scene e trascina gli astanti in una realtà sofisticata e sulfurea. La straordinaria presenza di Willem Dafoe nel ruolo di narratore è un catalizzatore chimico per una reazione esplosiva. Un maestro di cerimonie, mediatore tra il pubblico e il palco che ricorda Joel Grey in Cabaret, ma con molta più classe. Variando in un range di modulazioni espressive dalla più estroversa teatralità a un intimo tono confessionale, è volto/maschera dai capelli di fuoco e dal vestito verde militare. Ansima, urla e si dimena, cataloga, illustra e appunta. Impossibile distogliere gli occhi da lui.
A sentire Bob Wilson, la cosa difficile è stata tradurre in immagini una serie di date e di eventi. Visionario tra i visionari, si è avvalso del brillante e ambiguo Antony Hegarty, nonché di un ensemble di attori, acrobati e artisti assolutamente eccezionali.
Mentre Marina stesa guarda la sua vita, un fiume di nebbia liquida straripa dolcemente sulla scena, inghiottendo una cantante lirica serba, sontuosamente vestita, e il coro alle sue spalle. La Abramovic nella pièce è contemporaneamente se stessa da adulta, da bambina, da morta ed è anche sua madre. Una madre crudele e violenta. Una madre gelosa e possessiva. In un universo kitsch e surreale, coreografico ai limiti del manierismo e quanto di più lontano dagli psicologismi del teatro europeo, Wilson sdrammatizza il dolore della protagonista. Lei si lascia guidare da un nuovo linguaggio perdendo il controllo dell’azione. Una cura, secondo la Abramovic, una vera catarsi da cui, ad ogni spettacolo, risorgere più forte. Costumi e illuminotecnica superlativi. Giudizio unanime sulla riuscita del film.
Federica Polidoro
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