Non so quanti di noi abbiano chiaro un grafico che l’economista Nicolò Andreula ha proiettato in un incontro sulle prossime sfide: come si muove l’apprendimento degli esseri umani versus come si muove l’evoluzione tecnologica. Tra le ascisse e le ordinate vediamo nel primo caso la classica linea che cresce in maniera lineare (1,1-2,2-3,3…), mentre nel secondo vediamo una parabola che, pur partendo dallo stesso punto, si dirige verso l’alto in maniera esponenziale. In altre parole, l’evoluzione tecnologica viaggia a una velocità maggiore della nostra capacità di apprendimento, anche culturale, e quest’ultima è intimamente connessa alla nostra capacità di fruizione, che procede con la stessa “rettitudine”.
Perché? La cultura non fa eccezione in questo quadro e dunque, quando va bene, cresce, si sviluppa e diffonde in maniera lineare. Tra la retta diritta e la parabola esponenziale vi è uno spazio, uno spazio che va colmato e che in larga parte è anche la risposta alla nostra abilità a tenere il passo con l’evoluzione tecnologica pur non essendone gli inventori. Sul motivo per cui sia necessario colmare questo digital divide troviamo una larga maggioranza di sostenitori; anche i detrattori alla fine desistono, evidenziando come la tecnologia sia un mezzo e come tale debba essere approcciato. Perché se il mondo si muove in una certa direzione non possiamo ignorarlo, eventualmente dovremo dotarci degli anticorpi giusti per continuare a elaborare quel pensiero critico che l’intelligenza artificiale non è in grado di esprimere.
“La cultura, quando va bene, cresce, si sviluppa e diffonde in maniera lineare”
DESIGN E GAMIFICATION AL SERVIZIO DELLA CULTURA
Come? Abbiamo una serie di strumenti con cui agire e che sono a nostra disposizione. Il primo è il design. Il migliore ancora oggi è made in Italy, Faggin docet: secondo Bill Gates, senza di lui, inventore – tra le varie cose – del touch screen, la Silicon Valley sarebbe una conca qualsiasi. E ancora le digital humanities: un esempio? Dante poeta eterno di Felice Limosani a Santa Croce. Concedetemi la citazione di un progetto che ha messo insieme antico (le incisioni di Gustave Doré) e contemporaneo (l’immersione digitale). Un re-work sinestetico in cui il visitatore si è sentito trasportato in un’esperienza visiva, sonora e sensoriale unica.
La gamification è un altro strumento che consente di colmare il gap e che vede già alcune buone pratiche e una diffusione che si sta capillarizzando in alcuni ambiti, in particolare i musei e le attività connesse. E, infine, il metaverso, il controverso metaverso: forse è ancora presto per esprimere giudizi, nel frattempo però i mercati in genere più ricettivi all’innovazione, nella filiera delle merci estetiche (la moda e il food), sono già partiti. Hanno chiaro un concetto: identità e legame fisico con il genius loci non escludono la realtà virtuale, anzi ne hanno disperatamente bisogno.
Quando? Adesso.
Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #69
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