La storia di Roman Opalka, il pittore clessidra
Ha trascorso tutta la sua vita a dipingere il tempo, traducendolo in numeri e scatti fotografici. Morto nel 2011, Roman Opałka concesse questa intervista nel 2002, in un caffè di Roma
“Cinquemilioniquattrocentounomila e qualcosa… Non faccio mai caso a quale sia l’ultima cifra, perché questo mi sembra un inutile inquinamento della memoria. La memoria non può contenere e conservare tutto” – ci disse Roman Opałka (Abbeville-Saint-Lucien, 1931 ‒ Roma, 2011) quando ci incontrammo per un caffè a Roma nel 2002, in occasione della mostra nella galleria di Pino Casagrande Vis à Vis – Michelangelo Pistoletto / Roman Opalka a cura di Anna Maria Nassisi. In quell’occasione l’artista ci rilasciò un’intervista che fu pubblicata e ripubblicata diverse volte in Polonia, anche subito dopo la sua morte avvenuta il 6 agosto 2011.
“Da anni dipingo le cifre, da uno in su, in continuo progresso. La mia opera è finita e non finita in ogni momento. La fine del mio lavoro non può essere definita e non dipende da me. La fine la stabilirà la morte o il degrado fisico della vecchiaia o della malattia che non mi permetterà più di dipingere. La morte, la malattia, la vecchiaia sono le coautrici della mia opera. Perciò è per me così importante la presenza davanti alla tela. Io dipingo in piedi. Questa è la mia condotta al lavoro, il mio atteggiamento verso l’arte e verso la vita” ci disse.
L’artista franco-polacco aveva quasi ottanta anni quando morì in Italia, a Roma. Era nato il 27 agosto 1931 ad Abbeville-Saint-Lucien, in Francia. Ma il più importante periodo della sua formazione lo trascorse in Polonia, a Lodz.
“Lo sai bene, era il periodo del comunismo e per motivi economici dipingevo spesso con le tempere e poi lavavo il supporto prima di fare il prossimo quadro. In Polonia non esisteva il mercato dell’arte, perciò l’artista non era obbligato a pensare ai collezionisti. Qualche quadro che mi sembrava interessante l’ho tenuto per me”, svelò. “I miei studi alla Scuola Pubblica Superiore Delle Arti Plastiche di Lodz (l’attuale Accademia di Belle Arti di W. Strzemiński) coincidevano con il periodo staliniano 1949-56. Ma erano già cominciati dopo che Strzemiński era stato espulso dalla Scuola. Pur vivendo sotto il regime comunista, noi artisti dell’Est, in un certo senso eravamo più liberi degli artisti che vivevano nel sistema democratico occidentale. Eravamo liberi mentalmente – in una situazione dove non esisteva altro che esistenza vegetativa, avevamo tanto tempo per pensare”.
L’ARTE DI ROMAN OPAŁKA
I critici europei lo vedevano come un ponte tra Oriente e Occidente e lo consideravano un pittore concettuale intriso di esistenzialismo. Opałka si definiva un “pittore clessidra”.
Dal 1965 dipinse i numeri su tela con pazienza maniacale, usando un pennello a punta fine. Da lontano i suoi dipinti sembrano grandi tappeti monocromi intrecciati a mano, che rievocano la tradizione tessile della città di Lodz. Se osservata da vicino, una serie di numeri allineati fa pensare a un cardiogramma. Le cifre da zero a nove che diventano decine, centinaia, migliaia, milioni, sono misurate dal battito cardiaco e dal tempo che scorre. L’artista aveva dedicato tutta la vita a dipingere lo scorrere del tempo, a catturarlo sulla tela in una sequenza numerica infinita. È diventato il crittogramma della sua esistenza.
“Mi ricordo che aspettavo nella caffetteria Bristol a Varsavia la mia prima fidanzata, che era in ritardo già di qualche ora. Avevo trentaquattro anni, l’età nella quale la gente comincia a pensare più seriamente al tempo. Nella caffetteria non c’era nessuno e si era creata una perfetta situazione che ti costringeva finalmente a non fare assolutamente nulla. Allora mi è venuta la nostalgia del tempo. Ero già conosciuto come grafico, ma volevo sempre tornare a dipingere il tempo, come negli anni 1960-63, quando cercavo di visualizzare e fissare lo scorrere del tempo attraverso i punti disegnati. Pensavo a me stesso come ‘pittore clessidra’. Il mio lavoro era allora influenzato dalla teoria dell’Unismo di Strzemiński e dalla sua definizione del termine powidok (spettro della luce, fantasma visivo) che indica ciò che rimane dopo aver visto qualcosa che ci colpisce profondamente, una sorta di fantasma che rimane dentro di noi, diviene memoria inconsapevole che produce un cambiamento del linguaggio estetico. Immerso nel patrimonio di Strzemiński, che comunque è sempre rimasto in me, mi sono accorto che al tempo che volevo dipingere io mancava una cosa fondamentale: il vettore del tempo”, raccontava Opałka mentre sorseggiavamo il caffè nel bar dell’albergo romano. “Dunque, aspettando e pensando nella caffetteria Bristol a Varsavia, sono arrivato alla semplice conclusione che per visualizzare e dipingere il tempo bastasse cambiare i punti con i numeri. Così il tempo avrà il suo inizio, il vettore, la direzione e l’opera acquisterà senso. Dipingendo tutta la vita lo scorrere del tempo infinito sono diventato pittore clessidra”.
IL PROGRAMMA OPAŁKA 1965/1-°°
Soltanto nel 1965 Roman Opałka aveva esposto il suo primo Détail che cominciava con il numero 1 e finiva con 35.328. Aveva dipinto cifre bianche sullo sfondo nero. Il quadro fu premiato alla mostra a Sopot, ma i critici non sapevano inquadrare l’artista in nessuna delle correnti. Il primo Détail appartiene oggi alla collezione del Muzeum Sztuki di Łódź (Museo dell’Arte di Lodz).
“Non pensare che tutto andò liscio. La preparazione per dipingere il tempo ha richiesto tanto tempo. Ho cercato a lungo il carattere più adatto della scrittura. Mi sono esercitato all’infinito scrivendo le cifre graficamente più difficili. All’epoca dicevo ancora ‘scrivo le cifre’, poi rigorosamente affermavo che le ‘dipingo’”. “Avevo dedicato anche tanta attenzione alla preparazione dei fondi dei Détail. Ho cominciato dal nero e sono passato al grigio. Quando nel 1973 ho sorpassato il mio primo milione, a ogni successivo Détail aggiungevo l’1% di bianco in più, calcolando che al centesimo quadro sarei arrivato a dipingere le cifre bianche sullo sfondo bianco. Col tempo il mio compito è divenuto più difficile, perché avevo bisogno di preparare gli sfondi per Détail in serie, calcolando matematicamente il componente bianco. Purtroppo diversi Détail che si trovano nelle collezioni private, con il passare degli anni, hanno cambiato tonalità in modo imprevisto, certi quadri sono diventati più scuri prima di altri. Perciò il tempo inciderà sull’opera Opałka 1965/1-°° ancora a lungo dopo la sua fine definitiva. Quando dipingo l’ultima cifra nell’ultimo Détail devo subito iniziare il successivo. Così continuo il mio processo creativo”.
La numerazione passava su un’altra tela dello stesso formato corrispondente alla grandezza della porta dello studio dell’artista a Varsavia. Dal 1968 Opałka decise di abbinare a ogni quadro finito un autoritratto fotografico in bianco e nero. Scattava una foto di se stesso, sempre nella stessa posizione e con la stessa espressione sul viso, recitando ritmicamente i numeri dipinti del Détail, e registrando la sua voce su un nastro. C’è qualcosa d’imperituro in questo volto scolpito dal tempo e catturato nelle foto, anche ora che lui non c’è più.
“La registrazione della voce che conta le cifre e le fotografie che mi faccio da solo, documentando gli effetti del passaggio del tempo sul mio corpo, hanno a che fare con la vanità. Quando siamo giovani ci fotografiamo con piacere, in vecchiaia le fotografie diventano lo specchio del tempo che fugge. Ho l’alibi di mostrarmi anche in vecchiaia. Ho fatto una scommessa con la morte e ho fatto di lei il vettore principale del tempo.”. “Dopo aver superato il tetto dei ‘sei sei’ (666666) all’età di quaranta anni, ho capito che esiste la struttura multipla delle stesse cifre (22; 333; 4444; 55555; 666666, ecc.). Ho scoperto che l’uomo non potrà mai contare fino a 88888888. Ho stabilito allora l’orizzonte dei ‘sette sette’ (7777777) e ho calcolato che per questo avevo bisogno di 35 anni di lavoro. Sarei molto deluso se morissi dopo aver completato perfettamente un Détail. Spero che il mio ultimo quadro sarà un conto in sospeso. Questo è il mio Programma Opałka 1965/1-°°”.
IL TEMPO SECONDO ROMAN OPAŁKA
L’atteggiamento creativo di Roman Opałka era come una grande passeggiata, con qualche sosta per la vita quotidiana.
“Per passeggiare non ho mai abitudini fisse. Non esco mai nello stesso modo e a un orario prestabilito. Prendiamo l’esempio di Immanuel Kant, uno dei miei filosofi preferiti. Quando Kant usciva a fare le sue famose passeggiate, era talmente puntuale che la gente poteva regolare gli orologi. A mio avviso lui non passeggiava, ma usciva solo per prendere aria. Io sono l’opposto di Kant”. “Ultimamente viaggio tantissimo, perciò faccio le mie passeggiate molto di rado. Quando torno a casa, non lavoro subito. Devo aspettare quando mi viene la voglia di fare la mia passeggiata, per contare il tempo infinito, per riflettere sul tempo che scorre. Allora mi metto davanti alla tela del Détail. Dipingendo le mie cifre, dipingo la fuga del tempo, una catena della successione che si sviluppa in continuazione dal presente al passato. Per visualizzare il tempo lineare irreversibile, ho costruito una struttura pluridirezionale. In ogni mia cifra c’è l’infinito, e io stesso sono nel centro dell’infinito. Ogni mia cifra è ‘l’unità unica’ – l’essere irripetibile, un individuo”.
“A che cosa penso quando lavoro? Penso a tutto. Mi interrogo sul senso del mio atteggiamento verso l’arte e sulla mia vita. Mi chiedo: perché esisto? Che cosa è la mia esistenza? Qual è il suo scopo? Quando dipingo la fuga del tempo, mi pongo la fondamentale domanda sul senso dell’essere… Nella storia dell’arte l’autore ha sempre decretato in modo arbitrario la fine del proprio lavoro creativo. Decideva quando il quadro era finito e lo toglieva dal cavalletto. Facevano così Leonardo e Cézanne, e pure tanti altri. Nonostante anche loro potessero dipingere all’infinito. Nel mio caso, io non posso decidere arbitrariamente. Io ho scelto la morte come collaboratrice. Dipingerò fino a quando lei deciderà che ho finito la mia unica opera Opałka 1965/1-°°”.
L’artista si è posto un orizzonte, 7.777.777, ma non è riuscito a raggiungerlo. La morte ha fermato il suo lavoro al numero 5.607.249. Il suo primo e ultimo Détail (il primo proveniente dal Muzeum Sztuki di Łódź, il secondo, incompiuto e mai presentato, proveniente da una collezione privata) sono stati esposti per la prima volta insieme nel 2019 a Milano nella mostra Roman Opałka. Dire il tempo, curata da Chiara Bertola, ideata e realizzata da BUILDING e dalla Fondazione Querini Stampalia di Venezia.
Agnieszka Zakrzewicz
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati