Lunga vita alla Biennale di Venezia. I consigli di Renato Barilli
I suggerimenti del critico Renato Barilli per il futuro della Biennale di Venezia. Un esempio? Continuare a tenere separati arte, cinema, musica, teatro, architettura
In pochi anni Vincenzo Trione si è conquistato un posto di assoluto primato nel campo della critica d’arte, sia per le sue comparse domenicali sulla Lettura del Corriere della Sera, sia per la pubblicazione di tomi massicci in storia dell’arte, sia infine per la curatela delle voci dedicate proprio all’arte di oggi sull’Enciclopedia Treccani. Confesso di essere alquanto invidioso e geloso di tanta fortuna, dato che qualche decennio fa mi trovavo in una posizione simile alla sua, mentre ora sono un decaduto e pressoché dimenticato.
Tra le tante opportunità di cui Trione gode attualmente c’è pure quella di pubblicare dei fondi nel giornale milanese, uno dei quali ha sostenuto una tesi che però non mi convince, secondo cui la Biennale di Venezia fa male a mantenere le articolazioni tradizionali tra arte, cinema, musica, teatro, architettura, visto che al giorno d’oggi queste varie manifestazioni entrano in una stretta sinergia. Credo al contrario che la forza della Biennale veneziana stia proprio nel rispetto di certe tradizioni, a cominciare dal ritmo biennale che si è imposto nel mondo intero, mentre la rivale documenta soffre del suo ritmo più allungato, e proprio quest’anno è risultata poco interessante avendo promosso una fusione fra le varie arti.
“Credo che il pubblico che accorre al Lido fischierebbe solennemente se, invece di fargli vedere dei film, gli venissero presentate delle pur ottime performance”
LA DIFFERENZA TRA CINEMA E VIDEOARTE
Si dirà che in effetti in epoca digitale non c’è più molta differenza, poniamo, tra il cinema e la videoarte, invece non è così. Rimando alla mia Mappa delle arti nell’epoca digitale (Marietti) dove ho sostenuto che, pur nel ricorso a un unico strumento, il digitale appunto, tra le due forme d’arte, rimane una differenza sostanziale: la videoarte non ha trama, valorizza i dati sensoriali allo stato puro, mentre il cinema è l’erede della narrativa, da cui ha ricavato la trama, o qualcosa di simile. Credo che il pubblico che accorre al Lido fischierebbe solennemente se, invece di fargli vedere dei film, gli venissero presentate delle pur ottime performance, quelle che si vedono nelle stanze oscure di tutte le manifestazioni del mondo. E certo queste produzioni in digitale hanno pure, in genere, la colonna sonora, ma nei video del circuito artistico questa si confonde con altri valori, mentre nell’esercizio della musica le viene concessa una presenza quasi solitaria. E certo il visivo di oggi è ambientale, ma c’è pure qualche differenza tra una installazione, poniamo, di Kapoor o di Kiefer e un edificio progettato da una archistar, al modo di Frank Gehry. E dunque, mantenga la Biennale le sue ripartizioni tradizionali.
SUGGERIMENTI PER LA BIENNALE DI VENEZIA
Piuttosto, i problemi che urgono sono di un altro tipo. Intanto, come vengo predicando da tempo anche in questa sede, tratti meglio la partecipazione italiana, non la ponga nel luogo più remoto e scomodo da raggiungere, nel percorso dell’Arsenale. Inoltre, si guardi dal diventare una specie di ONU del visivo, con decine di Paesi partecipanti. Ovviamente non si può vietare che ogni nazione senta l’ambizione di partecipare a quel grande raduno mondiale, tanto più che lo fa a proprie spese. Ma magari lo stesso comitato che assegna i riconoscimenti, e il direttore della sezione arte, stabiliscano quali siano i Paesi meritevoli di entrare in una selezione ufficiale, collocata negli spazi canonici, tra Giardini di Sant’Elena e Arsenale, lasciando agli altri, come peraltro già oggi avviene in molti casi, di darsi una diversa collocazione. Con questi pochi accorgimenti, credo che la Biennale veneziana abbia ancora davanti a sé una lunga e sicura esistenza.
Renato Barilli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #70
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