Lago Morto. L’hardcore col marchio

Vascellari e la sua anima punk. Il progetto Lago Morto esce dai confini di Vittorio Veneto e approda in Liguria, alla Fondazione Remotti. Potere e contestazione, margine e centro, identità e serialità, cultura locale e mercato globale. Per ragionare intorno alle dinamiche del sistema. Aspettando che Lago Morto si moltiplichi come un fungo selvatico. E noi non potevamo lasciarvelo solo immaginare. Eccovi in un video un assaggio della performance. In esclusiva per Artribune.

Martellante, accelerato, violento, graffiante. L’hardcore spezza in gola l’energia roca del suono e la contrae nello spazio rapido di un brano. Riff veloci e linee distorte, con la musica che corre felina, fra impertinenze underground.
Nico Vascellari
arriva da quel mondo lì: il punk rock dei sobborghi di Nordest; gli scantinati umidi, dove macinare suoni sgarbati e stridenti; i concerti nei locali di provincia; i circuiti indie lontani dal mainstream; la rabbia dell’anti-sistema, urlata a suon di decibel.
Decolla in fretta l’avventura con i With Love, pregevole realtà dell’hardcore nostrano. Tanti dischi, una sfilza di concerti e una nutrita fetta di fan. Tutto questo s’intreccia con l’arte contemporanea, altro terreno di ricerca, fino a raggiungere una sintesi fatta di voce, corpo, scena, presenza: eventi rituali e temporanei che lui ama definire, classicamente, “sculture”. La dimensione per eccellenza resta quella della performance, luogo fisico dello sconfinamento e del disequilibrio, della caduta e della corsa, della frammentazione e del crossing.
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Nel 2009 s’inventa Lago Morto, progetto incluso nella mostra Rock – Paper – Scissors al Kunsthaus di Graz. In realtà Lago Morto è il nome di una band, fondata proprio da lui, Nico, frontman dall’ugola selvatica. Lo affiancano altri tre elementi, arrivati da gruppi della scena veneta, come A Flower Kollapsed o i Lucertulas. A breve termine il programma: vivere per il tempo esatto di una tournée. Cattivi e veloci come un pezzo punk. Sedici le date, tutte concentrate a Vittorio Veneto, città natale di Nico.
Le location dei concerti? Atipiche, a dir poco. Niente pub, piazze, ville, spazi autogestiti. Nei 15 days of struggle in cui si concentra il tour, i Lago Morto mettono a soqquadro, tra pogate e derive screamo, una pizzeria, un negozio dell’usato, una lavanderia a gettoni, un bar.

il logo di Lago Morto Lago Morto. L’hardcore col marchio

Il logo di Lago Morto

L’intenzione? Continuare ad aprire varchi dissonanti, contrapposti a quell’industria musicale che sforna band artificiali, lontane dalla verità dei luoghi e delle persone. Il piccolo dispositivo ruvido di Lago Morto punterebbe invece a una dimensione locale e autentica, fatta di gente comune, di incontri, di posti qualunque. Micro-aggressioni mirate, per confondere i contesti e restituire valore all’iniziativa dal basso.

A tre anni da quel movimentato tour, il progetto sbarca alla Fondazione Remotti di Camogli, mettendo insieme per la prima volta la miriade di materiali raccolti qui e là: foto dei concerti, video, poster, flyer, collage, disegni, scritti. Spostamento geografico e cambio di location sono le prime variazioni su tema che saltano agli occhi. Non più il Veneto, ma la Liguria; non più osterie e negozietti, ma un importante spazio per l’arte.
E non è tutto. Le performance, stavolta, sono due. Dopo gli ormai “storici” Lago Morto, capitanati da Vascellari, a Camogli suonano pure i… Lago Morto. Già, proprio un’altra band, nuova di zecca, messa su dopo un apposito casting tra i musicisti della zona.
Il nome diventa brand, marchio di fabbrica, in un sistema per l’infinita produzione di gruppi tutti diversi ma racchiusi sotto una stessa effigie. Punk griffato ad arte, con un’anima local-oriented. I tanti Lago Morto che nasceranno saranno organismi virali e vitali, radicati nella concretezza di paesini e piccole città.

043 Lago Morto. L’hardcore col marchio

Lago Morto - veduta della mostra presso la Fondazione Remotti, Camogli (GE) 2011

La domanda allora è: cosa c’è di dissimile rispetto a ciò che fanno, nell’ombra di un quotidiano attivismo di confine, i vari gruppi punk, grind e hardcore che pullulano nelle province d’Italia? Non sono essi stessi, di per sé, una risposta a quello showbiz che sforna fenomeni di plastica per il diletto di masse omologate?
Vascellari sceglie di contaminare il sistema dell’arte con dinamiche ed energie generate in seno a una scena sommersa. Un cortocircuito? Una provocazione? Una manovra innocua? Scampoli di controcultura esplodono all’interno di circuiti ufficiali che sono, però, avvezzi a eccentricità d’ogni sorta. Perché sì, il gruppo punk che fa tremare i muri del white cube è l’incidente previsto, il momento orgiastico che sovverte le regole del clan, squarciando la noia di ingessati rituali bon ton.

E poi? Si resta là, incagliati tra le maglie di un establishment che, per sua natura, produce – e metabolizza – sacche di sano disordine, al fine di rafforzare il proprio ordine costitutivo. Inevitabile, allora, fare i conti con la questione del rapporto margine-centro: fra innesti linguistici e stratagemmi aggregativi, si precipita in mezzo al controverso discorso sulla macchina sociale e le sue derive liminari. Una macchina che assegna, persino all’artista cresciuto a pane e hardcore, un ruolo da popstar: dinamiche mutuate dall’industria dello spettacolo, con cui l’arte sempre più spesso si contamina e si misura.
Quel che resta è una trama di storie, incontri, memorie. Mentre fra vocalizzi urlati, sferzate noise, collisioni di corpi e suoni cupi di chitarre s’innescano crossover sotterranei di segni, codici, contesti.  Più efficaci, forse, nel brusio distorto di un bar di quartiere, che non tra le mura immacolate di un museo.

Helga Marsala


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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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