AlUla. In Arabia Saudita una nuova città d’arte in mezzo al deserto
Nel 2017 il Regno dell’Arabia Saudita ha deciso che l’oasi di AlUla, i suoi beni archeologici e paesaggistici e il suo deserto dovevano diventare una destinazione turistica. Anche grazie all’arte contemporanea. Ecco cosa è successo e cosa succederà
L’Arabia Saudita vuole cambiare e sta cambiando. Il cambiamento qui non è una commodity, una parola vuota e una posizione stereotipata come spesso avviene in Europa e ancor più spesso in Italia. In Arabia Saudita il cambiamento è una decisione d’autorità, fissata dallo stato, imposta in precise milestone da qui al 2030 con la visione di superare la dipendenza economica del Paese delle fonti fossili. Vision 2030 si chiama questo progetto (o meglio questa aggregazione di grandi progetti) e sta andando avanti senza ritardi con l’obiettivo di cambiare radicalmente faccia all’economia e allo sviluppo di questo Paese da 35 milioni di abitanti che può beneficiare in questa fase storica di una età media della popolazione molto bassa.
Il cambiamento riguarda la sostenibilità, riguarda la qualità della vita, riguarda un ambizioso sviluppo immobiliare, la rigenerazione urbana, il turismo, i musei, la creatività e la cultura. E auspicabilmente ‒ ma anche prevedibilmente ‒ il cambiamento riguarderà anche i diritti della popolazione, delle minoranze, delle donne, dei detenuti. Non potrà che andare così se davvero l’amministrazione di Riyadh vorrà prosperare.
ALULA IN ARABIA SAUDITA. L’OASI DELL’ARTE
Per diversificare l’economia in direzione del turismo culturale occorrono attrazioni, patrimonio, storia. Non facile recuperarle in mezzo al deserto. Una delle zone che più si sta prestando a una valorizzazione di questo tipo è l’area di AlUla (si pronuncia “al’ola” con la o apertissima), che in virtù di alcune caratteristiche si sta riposizionando come una delle città d’arte arabe: in questa vasta oasi desertica di 22 km quadrati transitava l’antica Via dell’Incenso che veicolava spezie e altre mercanzie dallo Yemen e dall’Oman verso nord; e qui c’era l’insediamento di Hegra, una millenaria città poi (come la più famosa Petra, in Giordania) importante capitale del Regno dei Nabatei a cavallo dell’arrivo dei Romani in quest’area.
A Hegra ci sono oltre 100 tombe monumentali rupestri (alcune decorate) ricavate nelle imponenti arenarie rosse del deserto, si tratta del primo ingresso saudita nella lista dell’Unesco ormai 15 anni fa, già questa da sola è una attrazione di prima caratura per la regione.
Insomma, dove altro inventarsi una “nuova” città d’arte se non in un crocevia che può vantare, come ripetono qui, settemila anni di storia? Dove altro investire miliardi (molti miliardi) per creare un polo attrattivo e reputazionale intenzionato a dire la propria nello scenario globale delle arti contemporanee?
LA MOSTRA DI ANDY WARHOL AL MARAYA DI ALULA NEL DESERTO
Così, oltre al patrimonio e al paesaggio, ad AlUla si punta da qualche anno sugli eventi culturali. Il palinsesto si chiama AlUla Moments e prevede un’offerta trasversale che va dalle visite nel deserto all’archeologia passando dalle mostre d’arte all’arte pubblica nel deserto fino a molti appuntamenti musicali. Nel quadro dei “Moments” c’è l’AlUla Arts Festival che è giunto in questo 2023 alla sua seconda edizione e che ha come tema annuale Living in Colour. L’evento principale del festival è una mostra dedicata ad Andy Warhol allestita negli spazi di Maraya, ovvero nell’edificio specchiante più grande al mondo realizzato qui nel 2019 dagli studi italiani Gio Forma e Black Engineering, che meglio di altri stanno cogliendo in quest’area le opportunità economiche del piano di sviluppo per AlUla (da vedere anche il loro progetto della AlUla Design Gallery – nel quartiere centrale di AlJadidah – dove ha uno spazio anche la galleria d’arte Athr). Maraya, il cui nome vuol dire proprio ‘specchio’ in arabo, è stato pensato come sala per convegni e concerti ma, in occasione del secondo AlUla Arts Festival, è stato adattato anche a spazio per mostre. L’esposizione Fame (fino al 16 maggio 2023) è stata realizzata in collaborazione diretta con l’Andy Warhol Museum di Pittsburgh e curata dal direttore Patrick Moore presente ad AlUla all’inaugurazione (“vedo molta coerenza tra il lavoro di Warhol e il concetto di specchio e di doppio che rappresenta questo edificio“).
La mostra Fame ‒ che è appunto una riflessione sul concetto di ‘fama’ e ‘celebrità’ nelle opere warholiane attraverso video, foto, installazioni, wallpaper e dipinti ‒ non è una “grande mostra” come recitano i comunicati stampa, è in realtà una piccola mostra modulata in cinque piccole sale, una delle quali fortemente interattiva e immersiva visto che replica l’installazione dei Silver Clouds, i palloncini metallizzati esposti per la prima volta nel 1966 da Leo Castelli a New York. Una piccola mostra però particolarmente alta in termini di qualità e di allestimento e particolarmente coerente con la scala del Maraya. Questo miraggio di specchi in mezzo alle rocce e al deserto non è infatti un museo, è uno spazio per congressi, un auditorium, una venue per eventi, un grande ristorante. E poi anche uno spazio espositivo. Corretto dunque che la mostra abbia il suo spazio contenuto e non monopolizzi troppo. Lo spirito da performing art space di questo posto è stato poi confermato durante la serata di inaugurazione quando i minifilm silenziosi di Warhol (gli Screen Tests) che occupano le prime due sale della mostra sono stati oggetto di un’azione musicale del duo newyorkese Dean & Britta nell’auditorium di Maraya.
GLI APPUNTAMENTI DELL’ALULA ARTS FESTIVAL
Ma l’importante presentazione di Warhol, per la prima volta in mostra da queste parti, comunque non monopolizza la programmazione dell’AlUla Arts Festival (fino al 28 febbraio 2023), che prova ad articolare il proprio programma su più offerte contemporaneamente.
Ci sono mostre nello spazio pubblico come quella sui migliori 100 poster arabi; ci sono i tour nelle scuole di artigianato che stanno cercando di creare un impatto sulla cittadinanza attraverso l’arte e il recupero di antiche tecniche (da Madrasat Adeera ad esempio); ci sono le residenze artistiche come quella che si svolge nell’albergo Mabiti con le opere degli artisti residenti esposte nel bosco di palme dell’oasi. E poi c’è l’arte pubblica, o meglio la Land Art, sia grazie alle opere reduci dalle edizioni di Desert X, sia grazie ad altre iniziative, prima tra tutte Wadi Al Fann.
WADI AL FANN. LA MECCA DELLA LAND ART NEL DESERTO
Wadi Al Fann significa in arabo “Vallata delle Arti”, si tratta di un sistema di canyon desertici lungo 10 km e largo 6 e ha l’obiettivo di diventare una delle destinazioni imprescindibili della Land Art a livello globale: qui i sauditi sono riusciti ad accaparrarsi la ex ventennale direttrice della Whitechapel di Londra (Iwona Blazwick) e l’hanno messa a capo delle operazioni che puntano in una manciata d’anni a disseminare ettari ed ettari di deserto con ambiziosissime installazioni permanenti a firma di super artisti internazionali.
“Le opere”, spiega Blazwick, “arriveranno qui per restare anni, magari 10, magari 20, magari 100. Sono lavori che parlano alle prossime generazioni”. Non solo enormi sculture monumentali che rivaleggeranno e dialogheranno con la monumentalità di queste vallate, ma anche un masterplan che porterà un centro visite, residenze per artisti, public program, ristorazione, facilities per i visitatori che potranno intraprendere trekking e tour guidati a caccia delle opere a partire dal 2024. Gli artisti? I primi cinque sono stati già scelti e rispondono ai nomi di Agnes Denes (Budapest, 1931), James Turrell (Los Angeles, 1943), Michael Heizer (Berkeley, 1944) e dei sauditi Manal AlDowayan (Dhaharan, 1973) e Ahmed Mater (Abha, 1979). Altri verranno selezionati in seguito per arrivare a una ventina di lavori capaci di trasformare la vallata desertica in una attrazione unica nel suo genere: “Puntiamo qui a Wadi Al Fann a eguagliare e poi a superare i visitatori totalizzati dal sito archeologico di Hegra”.
ALULA. SVILUPPO TURISTICO E SOSTENIBILITÀ
Ma negli spaziosi canyon desertici ad AlUla non si trovano solo opere d’arte pubblica. Queste aree contraddistinte da montagne scavate dal vento sono state negli ultimi anni, grazie all’incoraggiamento della Royal Commission for AlUla, colonizzate dai resort, dagli investimenti immobiliari onnipresenti in questa oasi e dai primi virgulti di un turismo culturale d’alto bordo tutto glamping e piscine al led adagiate in riserve naturali. E così intere vallate si sono riempite di bungalow ultra lusso, tralicci per portare la rete dati dei cellulari, strade in calcestre e illuminazione artificiosamente suggestiva sulle rocce di ardesia. Un modello di sviluppo turistico sul filo del kitsch instagrammabile che fa il paio con la trasformazione in centro commerciale della Old Town di AlUla dove le case in fango e mattoni (puntare su una visita guidata per capire meglio i secoli di storia di questo centro abitato) sono oggi scenografia per bar e negozi artigianali messi assieme con un approccio da outlet. E che si sposa con l’arrivo dei grandi brand museali come il Pompidou ad esempio. “Gli investimenti sono ingenti e nei prossimi anni arriveranno centinaia di ulteriori camere d’albergo”, spiega l’americano Phillip Jones, capo dell’ufficio turismo di AlUla e uomo che sta collocando questa destinazione nel firmamento delle mete internazionali, “e anche l’industria della ristorazione è in fermento” ci racconta, sottolineando che “l’area è passata da 2 a 20 ristoranti gastronomici; in particolare puntiamo a portare qui grandi chef internazionali ma anche a far crescere i talenti locali, e locale deve essere anche la materia prima visto che nell’oasi ci sono tantissime aziende agricole. Cerchiamo di fare tutto in maniera sostenibile, AlUla è un incrocio di civiltà da decine di secoli e dovrà esserlo per altrettanto in futuro”.
Il rischio parco-a-tema è dietro l’angolo. Ma tra qualche anno si tireranno le somme e si capirà se questa sfidante scommessa dell’amministrazione saudita lanciata nel recentissimo 2017 e già palpabile sul territorio è stata vinta o meno. E se investire massicciamente usando l’arte come arma di destination marketing è un’efficace scorciatoia per affermare un nuovo polo turistico persino nel bel mezzo del deserto.
Massimiliano Tonelli
https://www.experiencealula.com/
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