La Babele minimal di Celestino Russo in mostra a Milano
È una Babele non convenzionale quella evocata dal titolo della mostra di Celestino Russo alla galleria Lorenzo Vatalaro di Milano. Tra richiami minimali e gorghi inaspettati
Tre corpi cilindrici di altezze leggermente diverse si profilano nella penombra; più indietro, sullo sfondo, un cono staziona su una mensola. Si direbbero perfetti esempi di strutture minimal: incombenti, intransitive, mute. È lo spettacolo che in questi giorni ci aspetta all’ingresso della Galleria Lorenzo Vatalaro, uno spazio sui generis che da diversi anni propone spiazzanti itinerari lungo le derive di un contemporaneo intriso di risonanze antiquariali.
Il protagonista di questa ultima mostra è Celestino Russo (Belleville, 1971), che, riprendendo e sviluppando un tema già svolto in una precedente esposizione, attraverso un confronto ininterrotto con il gallerista-curatore, ci propone un titolo che a prima vista sembrerebbe incongruo rispetto all’apparente insondabilità di queste sculture: Babel.
LA MOSTRA DI CELESTINO RUSSO A MILANO
Ma se sollevandoci un poco sulla punta dei piedi ci sporgiamo sopra queste sagome brunite, in gesso patinato, rischiarate appena da una fioca luce che le colpisce dall’alto, il nostro sguardo si trova risucchiato dal moto spiralico del loro interno cavo, che si restringe progressivamente, come in una fuga centripeta verso un punto abissale. Anche i coni risultano svuotati e lavorati con la stessa maniacale regolarità. La canonica iconografia della Torre di Babele, con la sua architettura avvolgente e intervallata di arcate, è come ribaltata e rovesciata su se stessa, incapsulata in un guscio di inesorabile rigore geometrico. L’autore si interroga infatti sul “senso della caduta, dello scavo, della discesa”, come precisa Irene Biolchini nel testo in catalogo, perché “la Babele che ci troviamo oggi davanti è scavata all’interno della forma: non sale, ma precipita in un gorgo, scende verso l’Origine”.
Alberto Mugnaini
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