A Siena la mostra sulle pietre paesine, fra arte e natura
Usate fin dal Cinquecento per impreziosire mobili e dare forma a originali decorazioni, e incluse nelle loro opere anche da artisti contemporanei come Pamela Diamante, le pietre paesine della collezione di Mario Piccolo sono in mostra all’Accademia dei Fisiocritici di Siena
A volte sembrano immagini di città, o rovine di capricci secenteschi, o distese marine. Altre volte sembrano motivi astratti, contrasti di linee curve e rette, dipinti di Paul Klee. Invece sono superfici di lastre di pietra, o di ciottoli di fiume come quelli della collezione di Mario Piccolo, esposta all’Accademia dei Fisiocritici di Siena nella mostra Pietre paesine: quando la natura diventa arte.
COSA È LA PIETRA PAESINA
Si chiama “pietra paesina” (o “ruiniforme”) proprio per i paesaggi che ci sembra di vedere dipinti sulle sue lastre. Tali segni sono invece dovuti alla penetrazione di sostanze come i rossi ossidi di ferro nelle fratture dei sedimenti calcarei formati in antichissimi mari e spezzati dai movimenti delle placche tettoniche durante quei processi che spostano i continenti e formano le catene montuose. Il filosofo Timothy Morton scrive che la tettonica delle placche è un “iperoggetto”: qualcosa di troppo distribuito nello spazio e nel tempo per poter essere colto nella sua totalità. Degli iperoggetti possiamo però avvertire gli effetti locali, e quindi ecco la tettonica delle placche raccontata in un ciottolo. Diffusa soprattutto in Toscana e alto Lazio, la pietra paesina è stata usata a partire dal XVI secolo per intarsi di mobili e decorazioni (si trova per esempio in due degli altari del Duomo di Siena), ma è anche diventata supporto e sfondo per opere a olio. Una tecnica, come tutte le varianti di pittura su pietra, rimasta in voga per un centinaio di anni, e su cui si è da poco conclusa alla Galleria Borghese di Roma la mostra Meraviglia senza tempo. Pittura su pietra a Roma tra Cinquecento e Seicento. Un esempio di collaborazione artistica tra agenti umani e non umani.
LA MOSTRA SULLE PIETRE PAESINE A SIENA
Ma in Pietre paesine: quando la natura diventa arte l’umano non è intervenuto dipingendo la pietra o usandola come decorazione. Per svelarne i disegni non è stato neanche necessario sezionare le pietre, circa 150 esemplari raccolti alla foce del laziale Rio Fiume. Sono ready-made, o forse qui noi esseri umani siamo solo curatori di quella che ci appare come compiuta arte non umana. Spunti da tenere a mente in un periodo di discussioni su autorialità e curatela umane e non umane e di dibattito su arte generativa e Intelligenze Artificiali. Un difetto della mostra senese è lo scarso coraggio dell’allestimento, che resta legato a quel gusto per l’accumulo discendente della Wunderkammer e tipico dei musei di storia naturale e archeologici. Eppure, anche qui non mancano intuizioni interessanti: due teche raccolgono pietre paesine con immagini “più figurative” e a ogni pietra è dato un titolo, come se avesse un suo soggetto. Intuizione che meriterebbe di essere spinta al suo estremo, in un allestimento in cui ogni pietra sia presentata isolata e trattata come opera d’arte, con la sua didascalia. E sulla didascalia, una scritta come “Placca africana & Placca europea, Pietra Paesina 24 o Tramonto sulla città (circa 50.000.027 a. C), percolazione di ossidi di ferro e manganese in strati di calcare. Collezione di…”
Matteo Lupetti
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