Disoccupazione nel settore culturale: di chi è la responsabilità?
Nonostante i posti di lavoro scarseggino, sempre più persone vogliono trovare un impiego nel mondo della cultura. Con il benestare del mondo accademico, che continua a offrire corsi e master a pagamento, e del mondo delle imprese, che si assicurano risorse specializzate a costi ridotti
In una logica di sviluppo sistemico, il settore culturale può giocare un ruolo significativo per il nostro Paese. Ciononostante, il settore culturale presenta criticità strutturali che hanno continuato a estendersi, pervadendo gran parte della filiera produttiva.
Si tratta di criticità che coinvolgono differenti livelli del settore culturale, tra le quali emerge con sempre maggiore evidenza la delicata condizione dell’occupazione.
Questa dimensione è particolarmente rilevante: non c’è bisogno di ricorrere ad analisi e statistiche per avere la piena contezza che, allo stato attuale, coloro che intendono lavorare nel mondo esteso della cultura e della creatività siano ben più numerosi di coloro che effettivamente riescono a trarre da tali settori un tenore di vita adeguato alla propria preparazione e competenza.
Questa evidenza genera delle condizioni che hanno impatti sul nostro tessuto produttivo e sociale ben più ampi di quanto si sia soliti considerare: dalle più immediate implicazioni di natura occupazionale (minori stipendi, maggiore richiesta di flessibilità, etc.) fino alle implicazioni, forse meno evidenti, ma ben più profonde che è possibile rintracciare in termini di economia territoriale (posti di lavoro non creati, flussi fiscali ridotti, incremento del ricorso ai sussidi). Che il nostro Paese si trovi dunque in una condizione sub-ottimale è tutt’altro che un mistero. Non sono però altrettanto ovvie le ragioni che ci hanno condotti a questa condizione.
“Per capire quali siano i soggetti che fanno sì che una determinata condizione rimanga stabile nel tempo è necessario comprendere chi da questa condizione trae il beneficio maggiore”
CULTURA E DISOCCUPAZIONE IN ITALIA
Prima di procedere, probabilmente, è opportuno chiarire alcuni punti: il primo è che, ovviamente, si tratta di un tema che di certo non può essere sufficientemente approfondito all’interno di una riflessione di poche battute; il secondo è che lo scopo di questo articolo è semplicemente quello di mettere in fila tutti i possibili fattori che concorrono alla determinazione di questa condizione, senza imputare responsabilità specifiche a nessuno di essi; il terzo è che, seppur questo approccio possa non essere descritto come scientificamente rigoroso, il tema diviene sempre più pressante perché riguarda spesso persone che sono nel livello massimo di produttività potenziale, e non sfruttare queste potenzialità è una perdita secca per le loro vite e per la collettività.
Fatte queste noiosissime ma pur sempre necessarie premesse, può essere utile definire un po’ meglio il perimetro di questa riflessione. In tal senso, i fattori che possono maggiormente incidere sull’occupazione del settore sono, grossolanamente e solo per citarne alcuni, il generale contesto economico-produttivo nazionale, le relative dimensioni normative e regolamentali, lo scenario politico di riferimento, il patrimonio disponibile, la suddivisione dei ruoli tra settore pubblico e settore privato, il livello di responsabilità delle varie tipologie di enti pubblici riferito a differenti azioni, la struttura del mercato privato, il livello di domanda aggregata, le eventuali barriere all’entrata, sia sul versante imprenditoriale sia sul versante dei professionisti (o dipendenti), il totale del volume economico imputabile al settore, la coerenza tra i corsi di formazione e la richiesta delle imprese (pubbliche o private), la presenza di strutture formative di eccellenza in grado di preparare professionisti altamente qualificati, la percezione, esterna e interna, legata al patrimonio culturale e alla più generale cultura.
I SOGGETTI CHE INFLUENZANO L’OCCUPAZIONE IN AMBITO CULTURALE
Di fronte a così tanti fattori, è necessario ridurre il perimetro di osservazione per poter avviare qualche riflessione. Eliminando aspetti generali di scenario economico, e assumendo come immodificabili quei fattori che determinano l’intero settore culturale, diviene possibile estrarre tre specifiche categorie di soggetti che hanno una diretta influenza sull’attuale struttura del mercato.
La prima categoria di soggetti è costituita dalle imprese. Categoria che, tuttavia, rientra soltanto parzialmente in questa riflessione. Non perché siano esenti da responsabilità, per intenderci, ma perché le responsabilità delle imprese sono piuttosto da rinvenire nei livelli di retribuzione delle persone. Condizione che, va detto, è resa possibile dall’elevato livello d’offerta di lavoro. Pur avendo molteplici responsabilità, questa categoria di soggetti agisce sulla configurazione delle forme dell’occupazione, che rappresenta un momento successivo all’oggetto di questa riflessione.
La seconda categoria di soggetti è data dalle persone che intendono lavorare all’interno di questo settore: pur essendo tutt’altro che ignote le criticità che contraddistinguono i settori culturale e creativo, infatti, sono ancora numerosissime le persone che intendono avviare un percorso lavorativo in questi comparti. Sebbene sotto il profilo umano siano tutt’altro che condannabili, mantenendo un approccio neutrale è indubbio che, nella definizione di un progetto di vita, sia importante assumere delle scelte consapevoli, ed essere consci dei rischi che derivano dalle proprie azioni.
La terza categoria di soggetti è data dal mondo accademico, che, nonostante le caratteristiche specifiche del mercato, ha avviato negli ultimi decenni sempre più percorsi di studio, sempre più master, sempre più specializzazioni, la maggior parte delle quali ormai a pagamento per gli studenti e/o per le imprese. In una logica di mercato, il mondo accademico non ha fatto altro che cogliere una domanda diffusa, rappresentata dalla mole di persone che vogliono lavorare nella cultura, e tener conto dei bassi livelli di occupazione, facendo sì che la competizione tra i differenti aspiranti lavoratori si spostasse verso un livello di istruzione formale, concorrendo tuttavia alla definizione di profili lavorativi spesso sovra-istruiti rispetto alle reali necessità del mercato.
“Che il nostro Paese si trovi dunque in una condizione sub-ottimale è tutt’altro che un mistero. Non sono però altrettanto ovvie le ragioni che ci hanno condotti a questa condizione”
RISORSE E COSTI DELL’ECONOMIA DELLA CULTURA
Si prenda, ad esempio, il caso della cosiddetta economia della cultura: una disciplina di natura accademica che non di rado si limita a preparare gli studenti universitari ad attività di analisi e di ricerca, e che soltanto raramente prepara manager, o direttori, o responsabili culturali. Per esser chiari, essere manager culturali significa in primo luogo essere manager: studio dei contratti collettivi nazionali del lavoro, gestione dei rapporti con le banche, analisi dei centri di costo e di ricavo, competenze in ambito di gestione delle risorse umane, capacità di cogliere opportunità di mercato, capacità di creare relazioni con gli investitori, con i clienti, con i dipendenti. In questa logica, dunque, appare chiaro che anche il settore accademico, che in genere si tende a considerare come super-partes, ha una propria responsabilità, anche rilevante.
Spesso, per valutare una determinata condizione, può essere utile analizzare chi da quella determinata condizione trae beneficio. Un livello di disoccupazione così elevato sicuramente non beneficia gli studenti. Beneficia le imprese, che possono così accedere a personale più qualificato di quanto sarebbe possibile in condizioni efficienti del mercato del lavoro, pagandolo al contempo meno, o ricorrendo a contratti meno vincolanti, condizioni che si traducono, in lessico aziendalistico, in minori costi. Ancor più ne beneficia il mondo accademico, che da questa condizione trae maggiori ricavi, fornendo percorsi di studio sempre più specializzati, e spesso riesce ad assicurarsi rette anche elevate per lunghi periodi di tempo (triennale, specialistica, scuola di dottorato, master).
Chiaramente, giungere a una conclusione di quali di queste tre categorie possa maggiormente contribuire alla costruzione dell’attuale configurazione del mercato del lavoro per i settori culturale e creativo non è possibile.
Analizzando in questo modo il mercato, tuttavia, si può affermare che il mondo accademico, in questo contesto, si pone come soggetto ibrido, applicando logiche prettamente imprenditoriali (intercettare la domanda di formazione e fornendo un’offerta), pur restando, nella maggior parte dei casi, un soggetto di natura istituzionale. Condizione questa che descrive quella che, per una piccola parte del comparto culturale, e più nel dettaglio la dimensione della gestione del patrimonio culturale, rappresenta una piccola anomalia concettuale: spesso accade infatti che, nel comparto, il soggetto pubblico agisca seguendo quasi uno spirito imprenditoriale, mentre alle imprese venga sempre più richiesto di acquisire una visione di responsabilità sociale.
Ci sono sicuramente molti altri fattori da valutare. A fronte di tali complessità, esiste una condizione che, nei gruppi sociali, si rivela quasi sempre vera: per capire quali siano i soggetti che fanno sì che una determinata condizione rimanga stabile nel tempo è necessario comprendere chi da questa condizione trae il beneficio maggiore.
Stefano Monti
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati