Mauro Salvemini – Roma e Anzio
Roma e Anzio non sono come le trappole di H. Cartier-Bresson utili per catturare con uno scatto irripetibile i personaggi che vi capitano, al contrario vengono fotografate da Mauro Salvemini per non rimanere intrappolato nei loro spazi, per andare oltre e lanciare il pensiero oltre i confini della immagine.
Comunicato stampa
Roma e Anzio non sono come le trappole di H. Cartier-Bresson utili per catturare con uno scatto irripetibile i personaggi che vi capitano, al contrario vengono fotografate da Mauro Salvemini per non rimanere intrappolato nei loro spazi, per andare oltre e lanciare il pensiero oltre i confini della immagine.
Le 36 immagini in b/n in mostra si snodano per omaggiare gli artisti ed i cittadini birmani in un momento difficile della loro esistenza e per continuare a fare circolare cultura ed arte su quel ponte costruito dalla ONLUS Culture2All fondata da Salvemini nel 2016.
Roberto Ago, critico delle immagini dice delle fotografie in mostra “Lo sguardo “more geometrico” di Mauro Salvemini, evocando a un tempo le stilizzazioni neoclassiche, le architetture simboliste ottocentesche e le atmosfere metafisiche di de Chirico, Sironi e Carrà, sa sottrarre Roma e Anzio – in una parola l’Urbe – ai luoghi comuni del ritratto fotografico dedicato al monumento. Icone inflazionate come i vessilli della Capitale o le vedute marine si aprono, complice un uso grafico del bianco e nero, all’inconsueto e al perturbante.
Simmetrie, cuspidi, ombre, ornamenti, rovine, scorci, dettagli: tutto concorre a delineare geometrie
sinistre e temporalità sospese. Lo spettatore è invitato a dismettere lo sguardo del turista per
indossare la lente straniante e vagamente noir dell’autore, ripercorrendo le diverse inquadrature
sulla città eterna e i suoi litorali.”
Larry Kagan, lo scultore delle ombre, già direttore del dipartimento di arte del RPI in USA che Salvemini conobbe durante i suoi stage e poi l’insegnamento negli USA dice : “ ……. The Mauro’s spaces are deep and well defined. The lack of people in them turns them into a kind of timeless record, a mix of history and technology that has defied time and insists on a kind of calm formal beauty that traces human ingenuity with structures and materials. Each photo invites the viewer to contemplate and lose oneself in a serene and eternal vista, that is in such contrast to today’s turbulent world.”
Salvemini ha sempre coniugato la ricerca e l’insegnamento universitario in Italia ed all’estero con attività artistiche e curatoriali. Inizia nel 1977 sotto la direzione di Eugenio Battisti partecipando alla mostra “Spazi da Brunelleschi a Fontana” a Milano curandone la parte della allora nascente computer grafica, nel 1984 cura a Prato la prima mostra di Computer Art e si dedica poi allo studio ed alla ricerca delle immagini da satellite per gli insediamenti umani e per le risorse naturali collaborando con le Nazioni Unite, la Commissione Europea e numerose università nel mondo. Scrive il primo libro in Italia di computer grafica ed il primo di computer art e collabora con il Festival di Camerino. Le ricerche universitarie spaziano dalla intelligenza artificiale applicata agli insediamenti umani alla interfaccia persona macchina ed ai dati territoriali ed ambientali. E’ il primo ad utilizzare il GPS in urbanistica. Nel 2016 fonda la ONLUS Culture2All per promuovere e sostenere la cultura artistica e culturale. Nel Myanmar si consolidano le attività della ONLUS e le sue personali. Nel 2015 le sue fotografie insieme agli acquarelli di Khin Maung Zaw sono in mostra ad Anzio e poi a Bolzano. Partecipa con video e fotografie all’ Expo 2015 nel padiglione del Myanmar ed è curatore del padiglione del Myanmar nelle edizioni del 2016 e 2019 della Triennale a Milano. La mostra “ Yangon art expo 2017” organizzata e curata dalla ONLUS sotto la sua direzione rappresenta un momento unico nel panorama culturale e sociale della Birmania ospitando più di 70 artisti birmani. Realizza nel 2021 la installazione permanente di fotografie “Forme del bello” nell’edificio di P.L. Nervi “Ristorante Tirrena” ad Anzio.
Dice Stephen Fox, storico dell’arte, delle foto in mostra a Milano ” Non so se Mauro Salvemini ne sia inconsapevole, o se invece ne sia stato accorto, prudente e defilato complice, ma la sua raccolta di fotografie, articolate e contrapposte tra due poli, due luoghi dell’anima, quali “Anzio” e “Roma”, deve essere nata sotto lo sguardo benevolo di due austeri (e terribilmente ingombranti) numi tutelari: Aby Warburg e Rudolf Arnheim. Non sembri infatti troppo irriverente, nello scorrere le folgoranti associazioni visive composte da Salvemini nelle sue fotografie, evocare senza troppa soggezione (sia pur semplificando) l’insegnamento di questi due maestri dell’analisi del mondo dell’immagine, dell’iconografia e del “pensiero visivo”. [……. ] ora guardate attentamente le coppie di fotografie di Salvemini; in esse – nel loro rigoroso ed elegante bianco e nero, ora sfumato, ora contrastato e chirurgico nel sottolineare passaggi nevralgici tra luce ed ombra – è rintracciabile la stessa forza evocativa e la potenza dei rimandi associativi del “sistema” warburghiano. La solitudine “hopperiana” – quasi nordica, esistenziale ed imprevista a queste latitudini – del faro di Anzio trova sponda ed eco nella eroica ed iconica assolutezza della Colonna Traiana, colta nel suo irrimediabile e drammatico isolamento di gigantesca e irrimediabile reliquia del passato: “Roma quanta fuit ipsa ruina docet”. Con l’occhio allenato dell’urbanista, attraverso l’obiettivo fotografico (sublime macchina della rivisitazione della memoria), ecco che Salvemini trova assonanze sorprendenti tra il Colosseo – il “monumento” par excellence – e il Gazometro ostiense, topos e “monumento” per Pasolini, per Vespignani e oggi per Ozpetek, in uno scarto semantico carico di significati allusivi, tra due luoghi di Roma e due immagini, anch’esse legate, proprio come nell’Atlante warburghiano, agli intrecci della memoria collettiva.”
Paola Valori di Microarti visive dice “Lo spazio delle immagini, da esperto quale è Salvemini, allora non resta dentro un confine, non s’incastra in una dimensione unica e piatta, offre piuttosto campo aperto a sperimentazioni, sogni e speranze. I muri imbrattati di Trastevere, il profilo della città eterna, il mare dello sbarco, e il gasometro di Roma, sono sì realtà immaginifiche, incastonate nei confini di un dettaglio fotografico, ma vengono da lui trattate come superfici da disegno o pittoriche.
Guardate per esempio come lo splendido scatto dello squarcio di Palazzo Farnese parla a voce bassa con un albero sradicato che il vento ha posizionato sulla spiaggia di Anzio.”
“Da ricercatore e professore ho sempre lavorato con le immagini: quelle da satellite, quelle della computer grafica e della computer-art così come quelle degli insediamenti umani di tutti i tipi. Per la fotografia sono autodidatta, ho spesso dialogato con il maestro Aldo Sessa. Confrontandomi continuamente con colleghi ed artisti della immagine esploro i campi della natura e del close-up. Non credo nella fotografia di viaggio, ma ritengo che viaggiando, e lo faccio spesso, fotografare serva alla contaminazione delle culture.
La luce è il minimo comune multiplo per tutte le foto in tutto il mondo. Uso la luce per analizzare la scena, per sezionare i componenti, per dialogare. “dice Mauro Salvemini.