Che bel clima a Venezia…
“La cinquième saison” di Peter Brosens e Jessica Woodworth incanta il Lido. Poesia lugubre sul cambiamento climatico. Fra i corridoi del Palazzo del Cinema si vocifera “Leone d’Oro”. E fra poco è tempo di pronostici.
Terzo episodio di una trilogia dedicata al rapporto tra uomo e natura, preceduto da Khadak e Altipiano, La quinta stagione di Peter Brosens e Jessica Woodworth approda alla Mostra del Cinema di Venezia con la grazia compositiva e il rigore formale di un’opera destinata a lasciare il segno. Un nuovo linguaggio che si esprime attraverso i principi di un documentarismo lirico e la sapienza della composizione pittorica.
La comunità agricola delle Ardenne si appresta a festeggiare l’ancestrale rituale di fine inverno. Ma lui non vuole andarsene. Un evento misterioso e lugubre investe tutta la campagna. All’inverno non segue più la primavera, né a questa l’estate. Non esiste neanche più l’autunno. I campi restano marroni, le piante non germogliano, gli alberi si seccano e cadono. La disgrazia coincide con l’arrivo di un filosofo itinerante che porta al seguito un figlio disabile, buono e dolce. Quando il cibo comincia a scarseggiare, si inizia a raccogliere e inscatolare insetti. Il villaggio addossa la colpa al filosofo e lo brucia vivo, sotto gli occhi di un’adolescente ridotta a offrirsi in cambio di cibo. Qualcuno si salva ma va incontro a un nebbioso futuro.
Con una intensa tensione narrativa che incolla gli occhi allo schermo, Brosen e Woodworth tornano a girare in Europa. Geografo urbano e antropologo culturale lui, documentarista lei, avevano ambientato i primi due episodi della saga nelle steppe della Mongolia e poi sulle Ande peruviane. In quest’ultimo capitolo, dove i luoghi sono più familiari, i dialoghi si trasformano in astrazioni e citazioni nietzscheane: “Preferisco essere l’uomo del paradosso, piuttosto che l’uomo del pregiudizio”, “Bisogna avere il caos dentro per generare la stella danzante”.
Gli accadimenti sono strani almeno quanto i personaggi che li vivono. Due pupi di cartapesta giganti si aggirano per la città alterando l’armonia delle inquadrature, si fanno gare di canto di gallo, appaiono le maschere di morte della peste. Arrivano eserciti immaginari a sequestrare gli animali e planano bassi aerei che non si sa né dove siano diretti né il perché. La quantità di grigio aumenta con l’incedere del tempo quasi fino alla desaturazione completa del colore.
Tra una citazione al Bergman del Settimo sigillo e una all’Angelopoulos di Paesaggio nella nebbia, vengono svelati i riferimenti iconografici. La cinquième saison è una natura morta. Di dolorosa bellezza e lugubre poesia, si dice essere la più meritevole del Leone d’Oro.
Federica Polidoro
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