Il primo Sex Shop d’Italia e ora vuole essere bottega storica

L’attività della famiglia Sabbatini esiste dal 1974 e in cinquant’anni di storia non sono mancati aneddoti da ricordare, dalle prime irruzioni della Buoncostume al cinema poliziottesco degli Anni Settanta

L’Italia è un Paese di santi, navigatori… E botteghe storiche. Fuor di ironia, lo zoccolo duro delle attività commerciali che resistono al tempo – impresa ardua soprattutto nelle grandi città – è patrimonio da tutelare perché rappresenta la storia del costume e della società, spesso preserva l’eredità di mestieri che hanno attraversato il Novecento e tiene al riparo da cambi di destinazione d’uso che stravolgerebbero l’identità di luoghi diventati simbolo di un quartiere, di una città, di un borgo. Le attitudini possono essere le più disparate, dalla trattoria centenaria alla cartoleria d’antan, dei laboratori orafi alle librerie. E poi negozi di dischi, gastronomie, sartorie, caffè. Spesso riunite in associazioni di categoria, le botteghe storiche possono ottenere un riconoscimento ufficiale del loro status dalle rispettive amministrazioni cittadine, che si preoccupano di aggiornare periodicamente registri e albi che le certificano. Milano è una delle città più attive in tal senso: nel capoluogo lombardo, la certificazione di Bottega storica è assegnata alle imprese di commercio, artigianato e servizi e ai pubblici esercizi con almeno mezzo secolo di storia pregressa, senza interruzione di continuità, che conservino almeno in parte i caratteri costruttivi, decorativi e di interesse storico, urbano e architettonico.

LO STORICO SEX SHOP DI MILANO

Di certo, però, agli uffici preposti non sarà mai capitato di ricevere la candidatura di un “sex shop”. Mai dire mai. È Giulio Sabbatini, titolare del Sex Shop attivo dal 1974 in piazza Sempione 6, ad avanzare l’ipotesi intervistato dal Corriere della Sera: “Abbiamo i requisiti per essere riconosciuti come bottega storica”, spiega il proprietario del negozio, ereditato da suo padre Ercole. Solo una provocazione? Nel 2024 la “bottega” spegnerà le sue prime cinquanta candeline e sarà titolata a entrare nell’albo, tanto più che ha preservato la dimensione di attività a gestione familiare. Il merito, stando alle parole di Sabbatini, va all’intuizione di papà Ercole, pubblicitario, “che a inizio Anni ‘70 capì il potenziale commerciale che ruotava intorno al sesso. Si licenziò dal Postal Market e aprì Riservatissimo, vendita per corrispondenza di materiale erotico”. All’epoca, allontanato dal magazzino che ospitava la merce per le proteste del quartiere, fortuitamente trovò il locale di piazza Sempione, lo acquistò e traslocò l’attività all’ombra dell’Arco della Pace, non senza polemiche da parte dei condomini.

L'articolo del 1975 sulla chiusura del Sex Shop

L’articolo del 1975 sulla chiusura del Sex Shop

LA STORIA DEL SEX SHOP DI MILANO. DALLE ORIGINI ALLE 50 CANDELINE

Un articolo sul Corriere d’informazione, pubblicato a maggio ’75, ricorda l’irruzione della Buoncostume per chiudere quel negozio che aveva fatto scalpore, attirando una folla di curiosi da vari quartieri della città, ma provocando anche una pioggia di segnalazioni anonime per “attività oscene”, giunte agli uffici della polizia dai residenti della zona. Stupisce, oggi, il candido stupore con cui all’epoca l’articolo passava in rassegna i prodotti in vendita nel Sex Shop, dai “prodotti rinvigorenti per l’uomo a base di polline di fiori (da 6mila a 9mila lire)” al profumo oleoso senza alcol, agli indumenti sexy, “come in una vera boutique”. Ma anche una selezionatissima biblioteca, “il meglio della letteratura erotica e di quella scientifica”. In quanto a storia del costume, il libro degli aneddoti del sex shop offre diversi spunti salienti: nel 1976, per esempio, Carlo Lizzani filmò alcune scene del poliziottesco San Babila ore 20 all’interno del negozio, immortalando anche l’iconica insegna su strada, che ieri come oggi recita semplicemente “Sex Shop”. L’intenzione è quella di coinvolgere la nuova generazione – i figli di Sabbatini – nella gestione dell’attività, per assicurare lunga vita al negozio, sopravvissuto alla crisi del settore sopraggiunta dopo il boom degli Anni Novanta. Chissà che nel frattempo non arrivi la targa che riconosce al negozio il valore di bottega storica.

Livia Montagnoli

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