Silvia Argiolas – Passano le nuvole si copre la luna di miele
Prima mostra personale di Silvia Argiolas (Cagliari, 1977), la cui ricerca pittorica è attraversata da presenze ricorrenti, quali volti, corpi, parole, oggetti e simboli, figure e animali, che sembrano appartenere ad un campionario privato al quale l’artista torna costantemente ad attingere, ribadendone di volta in volta il carattere enigmatico ed interrogativo.
Comunicato stampa
La Paolo Maria Deanesi Gallery è lieta di annunciare la prima mostra personale di Silvia Argiolas (Cagliari, 1977), la cui ricerca pittorica è attraversata da presenze ricorrenti, quali volti, corpi, parole, oggetti e simboli, figure e animali, che sembrano appartenere ad un campionario privato al quale l’artista torna costantemente ad attingere, ribadendone di volta in volta il carattere enigmatico ed interrogativo.
Nelle tessiture cromatiche che definiscono le superfci dei suoi dipinti, tali presenze sono capaci di dare vita a immagini caratterizzate da una dimensione espressiva che ci piace definire contraddittoria. L’artista sembra infatti lavorare lungo un piano inclinato; dell’armonia e insieme della dissonanza, dell’autenticità e dell’artificio, quasi la sua pittura rappresentasse, in forme sempre diverse, eppure costanti e riconoscibili, quella frattura-ferita che si apre tra il sentimento che nutriamo delle cose (e del mondo) e i precetti attraverso i quali la realtà lo vorrebbe costantemente addomesticare.
Da un lato vi sono le cromie accese, i pigmenti che Argiolas mescola con il colore ad olio e ad acrilico, le velature con lo spray industriale, l’arabesco pittorico nel quale tutto - in primis lo spazio dell’esistenza - diviene felice trama decorativa, divertita e raffinata memoria fauve. Dall’altra, l’insulto espressionista, la deformazione grottesca, il tratto mostruoso e apparentemente liberatorio rispetto al corpo, al sesso, alla nudità, ma anche alla narrazione biografica, la cui presenza si pone sempre come specchio delle dimensioni ancestrali che la nutrono, quali l’appartenenza alla natura, il ciclo temporale della nascita e della morte, l’esperienza dell’amore e dell’odio, della gioia e della sofferenza.
Tanto nel linguaggio formale adottato quanto nel substrato psichico che anima le sue immagini, l’opera di Argiolas sembra sempre scostarsi da una lettura univoca o predeterminata. Le sue figure bidimensionali, dai profili morbidi e sinuosi, ingaggiano con gli ambienti nei quali vengono inserite un rapporto ambiguo. Sospese ma anche inglobate negli sfondi, mescolate con gli oggetti, mimetizzate in altri corpi, altre silhouettes, umane o animali, sono
destinate ad essere preda di una continua metamorfosi dalla quale tuttavia riemergono, ciclicamente, come presenze totemiche, arcaiche, quasi assolute.
Non si tratta dunque di un linguaggio liberatorio, di matrice genericamente espressionista o esistenziale, quanto piuttosto di un fare pittorico che, libero e mutevole nella sua processualità, agisce sul piano dell’enfasi, della duplicazione e della differenza, nel tentativo di sabotare quella paralisi emotiva e comportamentale, fatta di comunicazione estemporanea, di ripetizione coatta e culto dell’inorganico, che attraversa e modifica silenziosamente il nostro corpo biologico e sociale.