A Fano nelle Marche emergono i resti di un edificio romano. È la Basilica di Vitruvio?
L’architetto più celebre di tutti i tempi cita nel De Architectura la basilica da lui costruita a Fano, in età augustea. Gli ambienti rinvenuti nel centro città, ricchi di marmi pregiati, farebbero pensare di averla finalmente trovata
Nel suo De Architectura, trattato latino seminale nel definire la progettazione architettonica del mondo occidentale e fonte preziosa per risalire alle tecniche costruttive utilizzate dai Romani, Vitruvio dedica capitoli tematici a diverse tipologie di edifici. E nell’illustrare la basilica – in epoca classica destinata a usi civili – il teorico dell’architettura più famoso di tutti i tempi fornisce al lettore un esempio concreto, descrivendo quella da lui progettata a Fano (all’epoca Fanum Fortunae, come l’omonimo tempio intitolato alla dea Fortuna), rispettando determinate proporzioni (capitolo I, libro V). La cittadina marchigiana conserva svariate testimonianze archeologiche della monumentalizzazione promossa dall’imperatore Augusto, ma mai prima d’ora si era riusciti a identificare l’edificio citato da Vitruvio, nonostante approfondite e reiterate ricerche (sin dal Cinquecento) volte a risolvere uno degli enigmi più affascinanti della storia dell’archeologia.
LA SCOPERTA DEI RESTI A FANO. È LA BASILICA DI VITRUVIO?
È dunque eccezionale la portata della scoperta che, in attesa di conferma, sarebbe da collegare proprio alla basilica di Vitruvio. Un episodio casuale, come non raramente accaduto in analoghe contingenze, legato al cantiere di ristrutturazione di una palazzina nel centro città (proprio in via Vitruvio), che ha portato alla luce i resti di quello che potrebbe risultare – il condizionale è d’obbligo – un imponente edificio pubblico, decorato su pareti e pavimenti con marmi preziosi, importati dalla Grecia e dall’Asia Minore. Gli scavi hanno permesso di individuare già cinque ambienti, con muri conservati in alzato per due metri: solo una parte di un complesso più articolato, che però risulta inaccessibile per la presenza di palazzi moderni. Ma cosa fa pensare all’identificazione con l’edificio progettato da Vitruvio? Innanzitutto la datazione, intorno alla fine del I secolo a.C., in epoca augustea (per la presenza di marmo verde cipollino e marmo pavonazzetto, che all’epoca si cominciava a estrarre in Turchia), compatibile con il periodo di riferimento per la presenza dell’architetto a Fano; ma anche l’intuibile importanza dell’edificio, che per collocazione, tipologia della struttura, ricchezza della pavimentazione e diffusa presenza di coperture marmoree doveva essere un luogo simbolo della vita pubblica nell’antica Fano. Sono queste le prime deduzioni avanzate all’Ansa dall’archeologa Ilaria Venanzoni, della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio di Ancona-Pesaro Urbino. Alle prime rilevazioni con drone, eseguite con la collaborazione del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, dovranno seguire approfondimenti necessari a chiarire il contesto. L’area dei resti sarà ora sottoposta a vincolo, mentre la Soprintendenza sta già cercando risorse per proseguire gli scavi. Il sito ha già rivelato la presenza di frammenti in ceramica del XIV secolo e resti di focolari, riferibili a un successivo utilizzo degli ambienti, probabilmente per uso domestico, forse dovuto alla suddivisione del grande edificio classico in abitazioni private. Tra i materiali recuperati, anche un frammento di iscrizione su marmo che riporta su due righe le lettere V e I e conserva ancora tracce della “rubricatura”, cioè la colorazione in rosso dei solchi delle lettere incise.
Livia Montagnoli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati