Il futuro delle Accademie di Belle Arti è nelle mani dei nuovi docenti
Chi è riuscito a diventare docente in una delle Accademie di Belle Arti italiane non ha tempo da perdere: l’obiettivo è usare il pensiero critico e una buona dose di responsabilità per modificare il sistema dall’interno
In questi ultimi tempi (settimane? mesi?) ho assistito soprattutto sui canali social alla stabilizzazione nelle Accademie italiane di molte colleghe e di molti colleghi (operatrici e operatori culturali a vario titolo). Man mano che passava il tempo, osservando i numerosi scatti che li ritraevano nell’atto di siglare il tanto anelato “pezzo di carta”, oltre a provare una sincera felicità per l’emancipazione da una condizione di assurda incertezza che li aveva oppressi fino a quel momento, un pensiero mi appariva sempre più chiaro: questa è un’occasione da non perdere.
Credo fermamente, infatti, che questo nuovo status da un lato possa in qualche modo ripagare i neo docenti a tempo indeterminato, coscritti o anagraficamente vicini al sottoscritto, degli sforzi e dell’impegno profuso in periodi medio-lunghi di precariato reale in cui i contratti per una professione, prossima a una vera passione nella maggior parte dei casi, includevano lunghe liste di doveri scritti o effettivi, mentre erano quasi totalmente privi di diritti fondamentali (malattia, ferie, maternità/paternità ecc., e mi scuserete la semplificazione). Dall’altro, però, l’arrivo dell’anelata conferma, della stipula pubblica e spesso pubblicizzata della firma, dovrebbe portare con sé anche un senso di responsabilità prima di tutto sul presente e in secondo luogo su ciò che verrà.
La sfida allora per le ultime generazioni di incardinati potrebbe essere quella di scrollarsi di dosso l’atteggiamento della lamentela, del compiangere la propria condizione o della stigmatizzazione dell’esistente, puntando invece, forti anche del ruolo ottenuto e della conseguente possibilità di presenziare in organi decisionali (collegi, consigli, comitati), all’obiettivo di modificare il sistema laddove quest’ultimo non risponda alle esigenze didattiche e della ricerca. Ciò però è possibile solo se alla presa di coscienza segue un immediato scatto operativo atto all’ottenimento di uno spazio d’azione reale all’interno delle istituzioni.
“Facciamo in modo di non perdere un’opportunità che si presenta ora e non sappiamo quando accadrà nuovamente”
IL FUTURO DELLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI
In ballo non c’è solo la parificazione con il modello universitario, che allo stato attuale è ancora di là da raggiungersi a pieno nella pratica (e non parliamo solo dell’insensata differenza degli stipendi), ma il fatto di impostare la traiettoria per un modello tanto innovativo quanto specifico al comparto in oggetto, che non solo riconosca l’importanza di una tradizione da aggiornare, ma che possa offrire l’opportunità di incontrare un autentico pensiero critico e che sia in grado di portare le sfide del presente dentro l’insegnamento e dentro le mura delle scuole.
Insomma, prendete pure queste righe come un appello, un auspicio, un desiderata (o come un’ingenua speranza) ma cerchiamo, nessuno escluso e tantomeno il sottoscritto, di non procrastinare ancora una volta l’intervento diretto, facciamo in modo di non perdere un’opportunità che si presenta ora e non sappiamo quando accadrà nuovamente. Le ragioni? Se non bastano quelle fino a qui elencate, facciamo come diceva quel tale: “Per questo, questo e quest’altro motivo…”.
Claudio Musso
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #70
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