Siamo ormai giunti al punto in cui l’assenza di nuovo viene presentata, tranquillamente, come nuova. Cioè, al punto in cui l’infinito rifacimento (remake/remodel), remix, la costante riarticolazione delle forme e degli stilemi non viene riconosciuta più come un segno inequivocabile di stanchezza, di esaurimento, e quindi anche di noia – ma al contrario come un indice di grande vitalità.
E meno male che nello stracitato (e forse, a questo punto, non così compreso) Realismo capitalista, quattordici anni fa, Mark Fisher aveva scritto già con chiarezza: “…senza il nuovo, quanto può durare una cultura? Cosa succede se i giovani non sono più in grado di suscitare stupore?”.
Ciò che forse lui stesso non aveva del tutto previsto era che, in questo presente, non solo il nuovo sarebbe stato oggettivamente fuori moda, ma anche il concetto stesso di “suscitare stupore” non sarebbe più stato poi così in cima alla lista dei desideri di un’intera produzione artistica e culturale e immaginaria.
In fondo, il motivo per cui ho cominciato a interessarmi di tutta la faccenda AI-tti-ecc. sta proprio nel fatto che (pur non comprendendo assolutamente nulla, lo ripeto, degli aspetti minimamente tecnici, e neanche, lo confesso, interessandomene) oscuramente intuisco che l’AI non fa altro che, almeno da un certo punto di vista, portare alle estreme conseguenze un comportamento e un’attitudine di fondo che è in azione all’interno dell’arte e della cultura da almeno (almeno) quaranta-cinquant’anni, e che noi identifichiamo per comodità con l’approccio postmodernista.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE E NOSTALGIA
Anche se, arrivati a questo livello del gioco, dovremmo riconoscere onestamente che postmoderno e postmodernismo c’entrano ormai ben poco, e che abbiamo scavallato, oltrepassato i suoi confini storici, per approdare a qualcos’altro… Anche la nostalgia, che fino a ieri o avantieri sembrava un concetto così completo, complesso e articolato, sembra oggi insufficiente – a meno di non immaginare una “nostalgia della nostalgia”, o una nostalgia priva di tutte le componenti sentimentali/romantiche/oscure (“nostalgiche”) proprie della nostalgia, priva cioè del senso di perdita che giustifica e alimenta la nostalgia, una nostalgia sintetica.
Perché qui invece il punto messo definitivamente in gioco dalle AI-tti-ecc. – come abbiamo già accennato, e come aveva giustamente intuito Philip K. Dick negli Anni Settanta ‒ è l’intero rapporto con il tempo. Può un’intelligenza artificiale provare nostalgia di un’epoca, o di uno stile? Eppure, è in grado di montarle e rimontarle a piacimento, utilizzando le immagini e il set di istruzioni testuali del prompter. Allora, quel rapporto con il tempo che spazza via storia e nostalgia, o comunque le disarticola e le riarticola, è il nostro.
ARTE E RIFACIMENTI
E dunque, per ora, se l’AI è davvero in grado di ottenere dei risultati molto più efficaci e veloci in termini di montaggio/rimontaggio delle fonti, in campo visivo-letterario-musicale, perché non dovrebbe farlo presto o tardi, e perché dovremmo rifiutarli? Sulla base di che cosa? (Perché è vero che moltissime opere d’arte e oggetti culturali realizzati e prodotti nell’ultimo cinquantennio non sono altro che “rifacimenti”: e no, mi spiace, la giustificazione che se ampliamo lo sguardo tutta l’arte è un unico grande rifacimento è semplicemente infantile: c’è anche quel livello; ma il nuovo è esistito, e il nuovo è il nuovo, il nuovo non si trasmette con il linguaggio vecchio).
A meno che. A meno che l’opera d’arte non sia proprio un’altra cosa, a meno che l’opera d’arte non sia del tutto se stessa – e che quindi vada cercata al di fuori del circolo, e delle circolazioni, dei ri-facimenti; che cioè risieda in un nucleo immune a e da essi.
“War as a moral metaphor is limited, limiting, and dangerous. By reducing the choices of action to ‘a war against’ whatever-it-is, you divide the world into Me or Us (good) and Them or It (bad) and reduce the ethical complexity and moral richness of our life to Yes/No, On/Off. This is puerile, misleading, and degrading. In stories, it evades any solution but violence and offers the reader mere infantile reassurance. All too often the heroes of such fantasies behave exactly as the villains do, acting with mindless violence, but the hero is on the ‘right’ side and therefore will win. Right makes might” (Ursula K. Le Guin, Prefazione del 2012 a Il mago, 1968).
“I learned that just beneath the surface there’s another world, and still different worlds as you dig deeper. I knew it as a kid, but I couldn’t find the proof. It was just a kind of feeling. There is goodness in blue skies and flowers, but another force… a wild pain and decay… also accompanies everything” (David Lynch).
Christian Caliandro
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