Nell’Ucraina martoriata dalla guerra, la cultura è ancora viva. A Kiev, pur nell’incubo degli allarmi aerei, il National Museum of the History of Ukraine continua la sua attività. Fedir Androshchuk ci racconta le vicende e la missione del Museo che dirige.
INTERVISTA A FEDIR ANDROSHCHUK
Come è nato il Museo e perché?
Istituire un museo regionale di storia nella Russia imperiale non è stato un compito facile. L’Ucraina era una terra con forti movimenti nazionali polacchi e ucraini, e solo nel 1894 il vicegovernatore della città permise di avviare un processo di raccolta fondi per la costruzione di un museo cittadino incentrato sulla storia, l’arte e l’artigianato locale. Nel 1899 fu costruito un edificio appositamente progettato in stile neoclassico. Dopo il crollo dell’Impero russo nel 1917 e l’istituzione del Consiglio centrale ucraino a Kiev, il Museo Civico divenne Museo Nazionale. Secondo il progetto, elaborato dall’allora direttore Mykola F. Bilyashivsky, doveva essere qualcosa di simile allo Skansen di Stoccolma ed esporre, oltre alle collezioni archeologiche, etnografiche e numismatiche anche modelli di palazzi, chiese e cappelle. Ma con l’avvento dei sovietici questi piani furono abbandonati, e nel 1944 le collezioni furono trasferite in un nuovo edificio costruito in origine per la scuola d’arte.
Il museo ha vissuto momenti difficili, nella sua storia?
Quello sovietico è stato il periodo più drammatico. Fu l’epoca delle risorse e del personale limitati, così come dell’ideologia comunista contro il “nazionalismo borghese ucraino” che portò alla critica dell’arte della storia locale, ai suicidi e alla repressione di eminenti studiosi. Nel 1934, in occasione del 15° anniversario dell’Armata Rossa, fu organizzata una grande mostra di arte militare sovietica e ben 400mila pezzi furono trasferiti nella “Città dei musei”, nell’ex monastero della grotta di Kyiv-Pechersk, dove furono collocati in sale inadatte perché umide. Nel novembre 1941, durante l’occupazione tedesca, un’esplosione distrusse la cattedrale e danneggiò gli edifici circostanti, compresi quelli con la collezione archeologica. Le restanti collezioni sono state raccolte e trasferite in un ex museo pedagogico sulla via Volodymyrska, ma una parte significativa fu portata in Germania fra il 1941 e il 1943. Fortunatamente, i pezzi più preziosi furono portati nel 1941 a Ufa, in Baschiria, e restituiti nel 1947, ma stiamo ancora cercando tanti oggetti che il museo perse in quegli anni. Naturalmente, anche gli ultimi tre anni sono stati impegnativi. Le restrizioni covid hanno avuto un impatto sul numero di visitatori e hanno rimodellato l’attività, e poi la guerra ha posto nuovi limiti, anche alle risorse disponibili.
Dopo il 1991, com’è cambiato l’approccio alla storia e cultura nazionale ucraina?
Durante il regime sovietico i musei erano istituzioni ideologiche per veicolare le radici comuni delle nazioni russe, ucraine e bielorusse, la continuità fra la Rus’ Kievana e i principati moscoviti, l’Impero zarista e l’Unione Sovietica, la genialità di Lenin e Stalin, mentre le mostre erano pensate nel quadro della teoria marxista-leninista dello sviluppo storico dei soggetti socio-economici. Lo status nazionale che il museo ha ottenuto nel 1991 ha portato nuovi compiti e responsabilità; il museo doveva essere ripensato, ma il graduale spostamento di generazioni di lavoratori e lo sviluppo politico del Paese hanno richiesto molti anni. Naturalmente, l’attuale guerra ha avuto un forte impatto su questo processo, ma oggi abbiamo una buona squadra che lavora al nuovo concetto di museo che sarà sviluppato dopo la guerra.
Il Museo riceve qualche tipo di sostegno dal governo?
Durante gli anni dell’indipendenza il governo ucraino ha mostrato scarso interesse a sostenere il Museo. La ragione sta nella mancanza di comprensione del fatto che il patrimonio culturale è una questione di sicurezza nazionale. Spero che dopo questa guerra la politica ucraina impari la lezione e ripensi la sua azione.
IL NATIONAL MUSEUM OF THE HISTORY OF UKRAINE DI KIEV
Quanto è vasta e quali periodi copre la collezione del Museo?
La collezione del museo comprende circa 800mila oggetti e comprende tutti i periodi, dalla preistoria all’attuale guerra con la Russia. Questi manufatti rappresentano i diversi gruppi etnici che hanno vissuto all’interno del territorio dell’Ucraina: fra questi, i Greci, gli Sciti, i Sarmati, gli Unni, i Goti, gli Slavi, gli Avari, i Cazari, i Magiari, i Vichinghi, i Peceneghi, i Kumani, i Mongoli, i Tartari eccetera.
Quali sono le opere più importanti della collezione?
I reperti archeologici sono il nucleo centrale, in particolare quelli in oro trovati nei grandi tumuli degli Sciti, nella steppa. Si tratta di oggetti prodotti da artisti nelle colonie greche della zona settentrionale del Mar Nero e nell’ambiente culturale scitico. Il “pettorale scitico” è un famoso esempio. Inoltre, il Museo ha una buona selezione di opere del primo Medioevo, gioielli di origine bizantina e della Ru’s Kievana, i corredi funerari del ricco tumulo di Chingul, presumibilmente la sepoltura di un Khan del XIII secolo.
Come prosegue l’attività, in questo momento molto difficile per l’Ucraina?
Il 2022 può essere suddiviso in due fasi principali: misure di emergenza per la protezione delle collezioni museali da colpi e danneggiamenti diretti e adeguamento dell’attività museale alle circostanze di guerra. Fin dall’inizio dell’attacco russo, le bombe hanno rappresentato il pericolo maggiore sia per la costruzione del museo che per la sua collezione. Pertanto, a partire dai più preziosi, tutti i pezzi sono stati spostati altrove.
La situazione era poco chiara, la prima settimana di guerra non abbiamo avuto contatti con il Ministero della Cultura. Ho capito che l’attenzione internazionale per il patrimonio culturale minacciato sarebbe stata l’unica possibilità per ottenere sostegno. La notte del 25 febbraio 2022 mandai una lettera ai miei colleghi svedesi con una breve descrizione della situazione, grazie a loro la lettera è stata diffusa sui media svedesi e su altri internazionali e il 18 aprile sono arrivati dalla Danimarca i primi aiuti umanitari. Nei tre mesi successivi, abbiamo ricevuto più di 10 tonnellate di attrezzature per lo stoccaggio e la protezione dei reperti da Blue Shield Denmark, che abbiamo condiviso con numerosi musei dell’Ucraina orientale.
Lo Stato ha continuato a pagare gli stipendi e a coprire parzialmente i costi, e alla fine di marzo, quando le truppe russe si ritirarono da Kiev, potemmo visitare i luoghi più colpiti per raccogliere reperti e documentare la battaglia. A fine maggio riprendemmo l’attività espositiva, iniziando con un’installazione dedicata alla difesa di Kiev. Ma la maggior parte delle sale espositive sono ancora vuote. Finora abbiamo trovato una soluzione provvisoria per collocare lungo le pareti copie di affreschi e mosaici altomedievali presi in prestito dal Museo della Cattedrale di Sofia.
Nell’anno della guerra il museo ha avuto 11.500 visitatori. In queste circostanze, penso che questo sia un ottimo dato che indica come le persone, inclusi i visitatori stranieri, hanno bisogno dei musei anche in tempo di guerra.
Cosa può fare il mondo della cultura per ristabilire la pace?
L’esperienza ha dimostrato che lo spirito di corpo e la fedeltà del personale, così come la giusta competenza, sono cruciali in situazioni critiche. Nonostante le diverse situazioni che i musei ucraini hanno dovuto affrontare, questa guerra ha dimostrato che i musei non sono semplicemente bersagli passivi per gli invasori, ma possono essere trasformati in centri culturali ed educativi molto efficaci e importanti. Credo che la comprensione del patrimonio culturale come questione globale e responsabilità collettiva potrebbe creare buoni prerequisiti per evitare conflitti militari e la distruzione del patrimonio.
Niccolò Lucarelli
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