Centro di Ricerca sulle Arti Contemporanee della Biennale. Bilancio dei primi anni e obiettivi
Intervista doppia al Presidente della Biennale Roberto Cicutto e alla responsabile dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee Debora Rossi. Per capire cosa significa progettare un archivio contemporaneo, come può favorire la ricerca sulle arti e perché Venezia può essere un modello
Ne abbiamo scritto all’atto del lancio ufficiale, nell’autunno 2021, quando la Biennale di Venezia presentava il nuovo Centro Internazionale della Ricerca sulle Arti Contemporanee, avviato in collaborazione con Università e Istituti di alta formazione, per ampliare e potenziare l’attività dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee (ASAC) aprendosi ad altre realtà impegnate nella ricerca e approfondire le ricerche degli artisti che hanno fatto la storia dell’istituzione lagunare. Da allora, il progetto ha soddisfatto le premesse, attivando il primo ciclo del programma di ricerca e lavorando sulle acquisizioni, dagli accordi con la Fondazione Luigi Nono e con la Fondazione Luca Ronconi alla recente acquisizione del Fondo Lorenzo Cappellini, che porta in Biennale l’archivio del fotografo che in sessant’anni di attività, già collaboratore per “Il Mondo” di Pannunzio, ha documentato il Novecento artistico e letterario e in particolare le Biennali dal 1974 al 1978.
Al 2026 è invece fissato il traguardo che porterà al trasferimento dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee da Porto Marghera (nel padiglione Cygnus del parco VEGA) all’Arsenale, negli spazi da riqualificare accanto alle ex Corderie (il 20 marzo scorso è scaduto il bando di gara per affidare la progettazione e la realizzazione della nuova sede dell’ASAC, finanziata con 40 milioni di euro in arrivo dal PNC, Piano Nazionale Complementare al Pnrr). Oggi, dunque, il Centro è nel vivo delle sue attività e molti sono gli obiettivi per il prossimo futuro. Abbiamo chiesto al Presidente della Biennale Roberto Cicutto e alla responsabile dell’ASAC Debora Rossi di tracciare un bilancio, per avere un’idea più concreta del ruolo essenziale esercitato da un archivio nelle ricerca sulle arti contemporanee. E di come il modello (in fieri) perfezionato dalla Biennale possa rappresentare un esempio di rilievo nel panorama internazionale.
INTERVISTA AL PRESIDENTE DELLA BIENNALE DI VENEZIA ROBERTO CICUTTO
Presidente Cicutto, trascorsi nemmeno due anni dalla nascita del Centro, qual è il bilancio dell’esperienza?
Con il Centro abbiamo sviluppato attività già presenti alla Biennale, a partire da un’iniziativa del 2020, quando, in piena pandemia, ci è venuta l’idea di utilizzare il Padiglione Centrale dei Giardini per organizzare un evento, chiamando i direttori in carica e chiedendo loro di utilizzare i materiali d’archivio per raccontare momenti salienti della Biennale. Ne è venuta fuori una storia che parte dagli anni Trenta e finisce alle soglie del XXI secolo. L’esperienza è riuscita e abbiamo riflettuto sul fatto che non fosse sufficiente raccontare sporadicamente il materiale d’archivio, e che avremmo invece potuto e dovuto sviluppare un progetto di più ampio respiro, mettendo a disposizione tutti i nostri contenuti per farne un laboratorio per studenti, ricercatori, curiosi. Sono trascorsi due anni di work in progress, abbiamo lavorato per dare una fisionomia precisa al Centro, ora siamo nel pieno del processo.
Come si è concretizzata finora l’attività del Centro Internazionale della Ricerca sulle Arti Contemporanee?
Fin qui abbiamo già sviluppato insieme a quattro Università e due Istituti di alta formazione una ricerca che ha coinvolto 120 studenti e molti docenti che li hanno coordinati: abbiamo chiesto loro di occuparsi di tutte le discipline della Biennale, ricostruendo la provenienza, non solo geografica, degli artisti che si sono relazionati con noi dal 2000 al 2019, per raccontare i loro luoghi d’origine, il contesto economico e sociale in cui operano, l’approccio alle arti nei rispettivi Paesi. La raccolta di tutti questi dati comparati costituisce una messe di informazioni di grande importanza, perché permette di sviluppare ricerche inedite e di focalizzarsi su analisi che possono approfondire tematiche di genere, parità, fortuna editoriale delle diverse discipline artistiche. Vogliamo essere un laboratorio di verifica delle cognizioni teoriche sulle arti.
Che opportunità rappresenta il Centro per la Biennale e per Venezia?
Da questa intensa attività di ricerca scaturiscono pubblicazioni e presto saremo online con un portale che possa raccontare il lavoro del Centro. L’obiettivo più ambizioso è quello di tracciare una mappa geopolitica delle arti a partire dagli inizi della Biennale, procedendo per tappe successive. E nel frattempo abbiamo suscitato l’interesse internazionale: quando abbiamo portato il progetto a Dubai, per esempio, abbiamo avuto un riscontro straordinario. L’idea di collaborare con le università di altri Paesi è indubbiamente nelle nostre intenzioni. E in quest’ottica è importante garantire l’accesso anche agli archivi di altre istituzioni veneziane, attivando un sistema condiviso: un modello di ricerca e pratica che possiamo esportare e riprodurre, per avere slancio nella creazione di una rete internazionale di alto livello. Siamo all’adolescenza del progetto, ma ogni giorno si avvicina qualcuno che vuole portare il suo contributo. E anche le nuove tecnologie avranno un ruolo fondamentale. Senza dimenticare l’impatto che avrà il trasferimento dell’archivio all’Arsenale: un’opportunità per Venezia e le zone limitrofe, perché attiverà posti di lavoro e favorirà la residenzialità.
LA STORIA DELL’ASAC. INTERVISTA A DEBORA ROSSI
Com’è cambiato l’ASAC dagli inizi a oggi?
L’ASAC ha una storia singolare, si costituì già con la prima Biennale d’Arte, per raccogliere i materiali (documenti verbali, corrispondenza…) degli artisti che partecipavano o che chiedevano di partecipare, e monitorare così la scena dell’arte contemporanea. Poi si sono aggiunte la fototeca, la mediateca, la raccolta relativa alla rassegna stampa, i manifesti, i fondi corollari che hanno arricchito questo grande patrimonio archivistico. Negli anni ci si è focalizzati sulla documentazione delle attività della Biennale, costituendo l’unico archivio al mondo che dà documentazione di tutte le sette discipline della Biennale (proprio l’Archivio rappresenta il settimo settore). Nata in epoca analogica, l’attività di raccolta e catalogazione ha dovuto affrontare, nell’era della digitalizzazione, un primo problema circa nuove forme di acquisizione e implementazione di documenti sul contemporaneo. Abbiamo così iniziato a lavorare con i nostri direttori artistici, chiedendo loro, a fine mandato, di trasferirci tutti i documenti raccolti su progetti e mostre sviluppate, però con un taglio critico, per conservare il punto di vista ragionato del curatore. Agli stessi direttori artistici è stato chiesto anche di produrre una documentazione fotografica e video delle mostre, per tenere traccia del percorso espositivo. E questo vale anche per il teatro e gli spettacoli musicali: l’archivio conserva le registrazioni delle vecchie rappresentazioni, prodotte con una regia che permetta a chiunque le visioni di accedere all’esperienza originale. Sintetizzando, il nostro archivio si concentra sulla documentazione critica della Biennale, e ne conserva la memoria. Accanto a questa finalità portante, dal 2009 abbiamo iniziato a implementare i fondi della Biblioteca, per esempio con il progetto Bibliografia della mostra, chiedendo agli artisti coinvolti di inviare una selezione di dieci testi che li hanno influenzati, per raccoglierli nella nostra collezione, che oggi comprende 190mila volumi, di cui 12mila, alcuni del tutto inediti, reperiti proprio attraverso questa iniziativa.
E come si lavora, invece, sull’acquisizione di nuovi fondi?
Creare un centro di ricerca vuol dire creare un punto di riferimento dove gli studiosi possano trovare più documenti possibili. In questo senso dev’essere intesa come un’opportunità per tutti la possibilità di ospitare archivi di terzi: può trattarsi di un’acquisizione, come nel caso del Fondo Cappellini, ma anche di un comodato, come stabilito dagli accordi con l’Archivio Ronconi e con la Fondazione Nono. Mantenere un archivio e renderlo fruibile comporta una serie di spese che non tutti possono sostenere: noi offriamo il nostro aiuto in quanto istituzione dello Stato, e di questo beneficiamo garantendo a chi frequenta l’ASAC uno spettro di ricerca sempre più ampio.
Ma un archivio contemporaneo deve andare oltre. Cosa possiamo anticipare della nuova sede?
La nuova sede all’Arsenale avrà depositi adatti a mantenere i materiali nella loro integrità, ma soprattutto concretizzerà l’idea di un archivio contemporaneo, tale non solo per le attività che documenta, ma anche per le attività che si svolgono al suo interno. Gli archivi devono essere luoghi del fare, sull’esempio di grandi istituzioni come il MoMa o il Getty Institute. Nella storia del nostro archivio c’è la sede di Ca’ Corner della Regina, che per l’epoca era davvero all’avanguardia: la mancanza degli standard per la conservazione, però, determinò il trasferimento dell’archivio a Marghera (mentre la Biblioteca fu ricollocata ai Giardini dell’Arsenale), negli Anni Duemila. In questi anni abbiamo messo i fondi in sicurezza, provvedendo al restauro, al riordino, alla catalogazione e alla digitalizzazione dei documenti. Ora sono tutti accessibili al pubblico, abbiamo 15 postazioni di ricerca, cui si aggiungono le 15 in biblioteca. Ma abbiamo anche spazi per studi e residenze. La nuova sede metterà a sistema questo approccio: vogliamo raddoppiare le postazioni di consultazione ordinarie, e aggiungerne di stabili per ricerche in residenza; avremo anche piccoli laboratori per il restauro e la lavorazione dei fondi. E uno spazio per mostre, workshop e incontri, che ci permetterà di essere un’istituzione aperta. Il progetto ha ottenuto un primo finanziamento nel 2019, implementato dai fondi ottenuti con il Pnrr. Siamo in fase di progettazione e l’obiettivo è quello di completare il trasferimento entro il 2026.
Livia Montagnoli
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