Catturare la luce con la pittura. Michael Broughton in mostra a Milano
È possibile cogliere il mutare della luce in un dipinto? L’artista britannico Michael Broughton, in mostra alla galleria Six, dice di sì. Ecco come
Per Michael Broughton (Braintree, 1977), ora alla sua seconda mostra alla galleria Six di Milano con una serie di dipinti realizzati nel 2022, la pratica della pittura fa parte di una metodologia di indagine, di un intento di decifrazione nei confronti della realtà esterna che parte dal profondo dell’essere. Essa non rappresenta gli oggetti, li ripercorre, per così dire, nella loro genesi. La pittura è una maieutica che fa parlare le cose, che scruta nell’interiorità delle persone, che cerca di inglobare e distillare, attraverso la sua materia, le diverse condizioni di luce tramite le quali le une e le altre appaiono mutevoli di momento in momento, espressioni di una sempre variabile verità esistenziale.
LA MOSTRA DI MICHAEL BROUGHTON A MILANO
La luce che svela le identità e le diversifica in ogni istante, che scandisce il trascorrere del tempo, è la stessa luce che interessava gli impressionisti: non a caso, è Camille Pissarro l’artista che riscuote in particolare l’ammirazione di Broughton. Quella del pittore britannico, però, anziché un’apparizione bruciante e immediatamente retinica, è una luce messa da parte sguardo dopo sguardo, sedimentata, incorporata con gli scorci cittadini, con gli interni, con le persone. Il titolo (dantesco) della mostra, A piè del vero, suggerisce la ricerca di una verità che parte dal basso, che si trasfonde e si radica sulla superficie attraverso molteplici innervazioni, strato su strato, fibra su fibra.
LA PITTURA DI MICHAEL BROUGHTON DA GALLERIA SIX
Andrew Dempsey nel testo in catalogo testimonia la meticolosa cura e le varie fasi che conducono alle opere finite. Ognuna di esse è il risultato di decine di disegni preliminari, e di altrettanto numerose sedute. La pittura di Broughton procede con lentezza, così come l’asciugatura dei suoi impasti e delle sue mestiche, o meglio, dei suoi succhi e delle sue linfe. In questo processo, rutilanti e fangosi al tempo stesso, essi si raggrinziscono e continuano a incubare la luce, come se maturassero marcescenze e poi si disseccassero a formare una corteccia variegata e vibratile. John Berger ha colto l’essenza del metodo di Broughton in un magistrale testo apparso nel 2012, e, sottolineandone quell’originalità che non è risultato di una “ricerca” ma che accade come una “ricompensa”, afferma che questi dipinti “non catturano una luce esterna, aspettano la luce. E lentamente, debolmente, l’atto stesso di attendere diventa luce, e luce interna”.
Alberto Mugnaini
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