Ecco perché è importante promuovere la pittura e non l’imitazione
Renato Barilli torna a parlare di pittura e della sua presenza o meno fra le materie insegnate nelle Accademie. Sottolineando quanto sia cruciale formare nuove generazioni di pittori e non di semplici imitatori dei maestri
Pare che abbia scandalizzato l’articolo in cui dicevo, in questa sede, che pittura e scultura, nelle Accademie di Belle Arti, dovrebbero essere tolte dal novero delle discipline professionalizzanti, ma lasciate solo come corsi liberi di alta cultura. La cosa è sembrata irrispettosa da parte mia, un grave vulnus inferto a materie di grande e storico prestigio. Ma immaginiamoci se questa è stata l’intenzione di uno come me, che per tutta una vita, da critico e storico dell’arte, l’ho difesa e continuo a difenderla, rimettendomi perfino a dipingere come segno eloquente di fedeltà e di impegno in questa materia.
Resta vero però che nella vita pratica di tutti i giorni non c’è richiesta di pittori e scultori, bensì di grafici per il settore enorme della pubblicità, dei fumetti, di cartoni animati, così pure di fotografi, con lo sviluppo nella video-arte. Allo stesso modo non c’è richiesta professionale di poeti e di romanzieri, benché questi continuino ad apparire, e anzi abbondano più che mai, ma non escono con titoli accademici, non ci sono lauree per loro nelle Facoltà di Lettere, che però educano alla critica, o anche al giornalismo, al mestiere di fare interviste, e beninteso all’insegnamento.
“Si insegnino pure i segreti del mestiere, della tecnica, ma ci si arresti alla soglia di indicazioni stilistiche, o vogliamo tirar su una squadra di epigoni di Lodola, per restare in Italia, o del misterioso Banksy”
GLI ARTISTI E LE ACCADEMIE
Vogliono le Accademie entrare davvero nella stessa dimensione degli Atenei o mantenere sempre un ambiguo statuto intermedio? Naturalmente la presenza di grandi artisti con ruolo ad honorem è perfettamente giustificata, ma questi potrebbero solo allevare una mala squadra di imitatori. Meglio evidentemente insegnare le tecniche, che certo possono portare a realizzare ottimi lavori di street art, o comunque trovare mille impieghi nella società odierna, in tutte le sue articolazioni. Ma anche qui, si insegnino pure i segreti del mestiere, della tecnica, ma ci si arresti alla soglia di indicazioni stilistiche, o vogliamo tirar su una squadra di epigoni di Lodola, per restare in Italia, o del misterioso Banksy?
Credo che una serie passiva di ripetitori sarebbe del tutto nociva e indigeribile, mentre senza dubbio sarebbero validi dei consigli per come aggredire le pareti di edifici pubblici e privati, di scuole, di ospedali. Per questi da tempo si suggerisce di evitare l’imbiancatura delle pareti, squallida e funesta come un loro annerimento, ma, soprattutto negli ospedali per l’infanzia, ci starebbero bene delle invenzioni degne di cartoons o altro. E da tempo suggerisco anche che nelle infinite rotonde del traffico si inseriscano delle sculture, ma anche in questo caso non una popolazione di imitatori passivi di Consagra o di Franchina o di altri idoli del nostro tempo. Questi luoghi devono essere piuttosto una palestra per nuovi talenti, a cui però qualche consiglio tecnico di come erigere le loro sculture ci può stare: nuove materie plastiche, polvere di marmo, o che altro?
I grandi artisti siano come i docenti emeriti nelle Università, chiamati a proteggere e dare copertura economica alla loro creatività, senza obblighi didattici. Spero di essermi spiegato e di aver allontanato ingiusti sospetti nei miei confronti.
Renato Barilli
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #71
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