Intervista a Giacomo Moor, il designer della necessità
In mostra negli spazi di Assab One a Milano ci sono gli arredi progettati dal designer Giacomo Moor per una scuola di Mathare, in Kenya, e una serie di scatti d’autore. Uno degli eventi da mettere in agenda durante la Design Week
Invitato da LiveinSlums – ONG che opera in territori con forti criticità, dove compie un lavoro di rigenerazione urbana di grande valore, fornendo ai ragazzi i mezzi necessari al loro reinserimento scolastico e lavorativo –, il designer-falegname Giacomo Moor si è recato a Mathare, uno degli slum più grandi di Nairobi, per realizzare i prototipi degli arredi destinati al refettorio e al dormitorio della Why Not Academy, scuola locale con 300 bambini.
La realizzazione delle panche, dei tavoli e dei letti si è svolta insieme ai ragazzi, dando loro la possibilità di imparare nuove tecniche ed essere pagati per il lavoro fatto, creando arredi di alta qualità frutto di un design consapevole: l’associazione, infatti, mette il coinvolgimento degli abitanti al primo posto, garantendo loro una “crescita umana durevole”, ma soprattutto l’autonomia necessaria a portare avanti nuovi progetti. Grazie a una logica progettuale basata sulla “semplificazione produttiva” (in cui non occorrono macchinari complessi, ma scalpello, squadra, matita e poco più) sono stati prodotti arredi simbolo di una vita comunitaria attiva e flessibile. Questa comunità è raccontata dalle immagini dei fotografi Francesco Giusti, Filippo Romano, Mattia Zoppellaro e Alessandro Treves, realizzate durante il progetto School of Curiosity, scuola di fotografia nata per dare voce agli autori locali e formare nuovi talenti.
IL DESIGN SECONDO GIACOMO MOOR
Nato a Milano nel 1981, dopo essersi laureato in Design con una tesi sui difetti del legno, Giacomo Moor fonda il suo studio a Milano nel 2009. La capacità di coniugare competenze tecniche ed estetiche, conciliando il rigore del progetto con la sensibilità manuale, è un elemento costante del suo metodo di lavoro. Insieme al suo team multidisciplinare, composto da falegnami e designer, progetta prodotti per aziende, crea edizioni limitate per gallerie di design e produce pezzi unici per clienti privati, supervisionando l’intero processo creativo.
Ha partecipato a diverse mostre – a Parigi, Londra, New York, Singapore, Porto –, vinto numerosi premi e vanta clienti come Acerbis, Desalto, Galleria Luisa delle Piane, Giustini/Stagetti, Memphis, Spotti Milano, Triennale di Milano, Wallpaper e Yoox. Gli abbiamo fatto qualche domanda a proposito di questo progetto.
INTERVISTA A GIACOMO MOOR
Raccontaci meglio cosa hai realizzato con gli studenti e cos’è per te la “semplificazione produttiva”.
La richiesta precisa di non limitarmi al disegno degli arredi, ma di realizzare i prototipi sul posto insieme ai ragazzi della scuola, rendendoli totalmente autonomi per la successiva produzione, ha innescato una logica progettuale basata sulla semplificazione del processo.
Il sistema costruttivo applicato garantisce stabilità strutturale grazie a incastri in sequenza tra i componenti. Ogni elemento è strettamente necessario, in una sintesi formale basata sulla sottrazione. I piani di appoggio orizzontali hanno la funzione di lucchetto e, avvitati ai traversi longitudinali, chiudono un sistema a secco e quindi reversibile, dando la possibilità di sostituire singoli pezzi eventualmente danneggiati. La geometria degli incastri su legno massello, secca e ortogonale, permette la lavorazione a mano senza macchinari. Così il tema dell’incastro, solitamente e a buon diritto associato a tecniche complesse di ebanisteria, viene reinterpretato, conservando da una parte il suo carattere di preziosità e diventando dall’altra semplice e immediato da realizzare.
Tre parole per descrivere in sintesi questo progetto.
Totalizzante, essenziale e replicabile. La collaborazione con LiveinSlums è stata un’esperienza unica e complessa che è andata ben oltre l’aspetto progettuale, dandomi la possibilità di lavorare secondo criteri inconsueti e liberi da sovrastrutture. Essenziale come il segno che caratterizza il disegno di questi pezzi, in cui mi interessava indagare un principio costruttivo replicabile e applicabile ad altre tipologie di arredo e in scale diverse.
Che cosa hai riportato a Milano della tua esperienza a Mathare?
Senza falsa retorica, mi sono portato a casa una serie di sensazioni ed emozioni difficili da descrivere per la loro intensità. Lo stupore e il trasporto con cui i ragazzi della scuola hanno affrontato ogni singola fase del processo di realizzazione, dal taglio all’assemblaggio fino al montaggio, mi ha spinto a rivalutare l’enorme potenziale del lavoro del progettista.
In che modo questa esperienza ha influito sul tuo lavoro, sui tuoi obiettivi, sul tuo modo di vedere il design?
Credo che la variabile, per nulla scontata, che ha reso unica questa esperienza sia stata la necessità. Gli arredi che abbiamo progettato avevano un fine preciso: permettere agli studenti di sedersi, mangiare, dormire. Questo obiettivo, semplice eppure molto distante dalle finalità con cui disegniamo l’ennesima sedia per un mercato sempre più saturo, ha indubbiamente influenzato l’approccio al progetto riaccendendo, anche solo per un momento, l’utopia di un design “necessario”. Riuscire a sintetizzare questo bisogno reale con un principio costruttivo razionale e un segno riconoscibile è stato l’aspetto più difficile da affrontare.
Giulia Mura
Articolo pubblicato su Speciale Design 2023
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