In Afghanistan i talebani vogliono salvare un sito buddhista dall’estrazione del rame

L’area ha depositi per 100 miliardi, già accordati in estrazione a una compagnia cinese. Prima di aprire la miniera, però, il governo partecipa agli sforzi conservativi: che i talebani si siano pentiti di aver distrutto i Buddha di Bamiyan nel 2001?

L’antica città buddista di Mes Aynak, in Afghanistan, è fortemente minacciata dall’estrazione del rame: certo non sarebbe il primo sito archeologico a scomparire in un luogo dove il patrimonio culturale è scarsamente controllato, quando non esplicitamente distrutto. Ora, però, il governo talebano sta sostenendo un nuovo progetto di conservazione della durata di 18 mesi per salvare il salvabile, con la guida dell’Aga Khan Trust for Culture e della Fondazione Aliph. La notizia ha fatto sorgere l’inevitabile domanda: parliamo degli stessi talebani che hanno distrutto gli inestimabili (e giganteschi) Buddha di Bamiyan nel 2001?

IL SITO DI MES AYNAK IN AFGHANISTAN

Mes Aynak è una città buddista di 2000 anni situata a circa 40 km a sud-est di Kabul, nella provincia di Logar. Sfortunatamente è seduta sulla seconda più grande miniera di rame non sfruttata al mondo, con depositi per un valore stimato di 100 miliardi di dollari. Nel 2008, il governo dell’Afghanistan (sotto l’allora presidente Hamid Karzai) aveva firmato un contratto con una società cinese per estrarre queste ricchezze attraverso una miniera a cielo aperto. Questo, ovviamente, porterebbe alla distruzione delle strutture emerse della città e di tutti i reperti ancora sepolti, motivo per cui il progetto è stato a lungo ritardato per consentire nuovi studi archeologici e il trasferimento dei preziosi manufatti. Con l’abbandono degli Stati Uniti del territorio nel 2021, e la relativa riconquista talebana, in molti hanno pensato che la nuova amministrazione avrebbe fermato l’operazione di soccorso per portare avanti lo scavo minerario.
Con un colpo di scena, però, il nuovo governo ha promesso pubblicamente di preservare i resti archeologici del sito. Il progetto di recupero, come riportato da The Art Newspaper, ha visto la svizzera Fondazione Aliph affidare un milione di dollari all’Aga Khan Trust for Culture per restaurare le strutture temporanee (erette nel 2010 e rovinate da neve e pioggia) che proteggono oltre 50 siti contenenti stupa, statue, pitture murali e pavimentali, oltre a sviluppare un piano di conservazione e trasferimento dei manufatti in un sito vicino. È previsto peraltro che l’operazione dia lavoro a circa 350 professionisti locali in un momento molto difficile per l’economia afghana.

Il sito di Mes Aynak sotto la neve a gennaio 2023 © AKTC

Il sito di Mes Aynak sotto la neve a gennaio 2023 © AKTC

IL COINVOLGIMENTO TALEBANO NELLA TUTELA DEL SITO BUDDISTA

Il ministero dell’Informazione e della Cultura dell’Afghanistan ha confermato che sono iniziati i lavori di recupero e che il governo talebano è impegnato a preservare i manufatti del sito: “La miniera di Mes Aynak ha un valore economico e culturale per gli afgani. Il ministero dell’Informazione e della Cultura sta cercando di garantire che i suoi benefici economici raggiungano gli afgani e che i suoi tesori culturali e storici rimangano al sicuro”, ha annunciato il viceministro della cultura e delle arti dell’Afghanistan Atiqullah Azizi a The Art Newspaper, chiedendo la cooperazione con la comunità internazionale. Sono infatti rimasti in pochi a finanziare i progetti per la protezione del patrimonio culturale afghano come l’Afghan Cultural Heritage Consulting Organisation, tra cui proprio Aliph. “Mes Aynak è stato descritto come uno dei reperti archeologici più importanti degli ultimi quattro decenni nella regione. Il sito archeologico comprende numerosi monasteri buddisti con stupa, sculture, pitture murali, templi zoroastriani e tracce di attività industriale risalenti alla tarda antichità”, ha dichiarato Sandra Bialystok, direttrice delle comunicazioni e delle partnership di Aliph, fondata proprio per prevenire eventi come la distruzione degli antichi Buddha di Bamiyan da parte dei talebani oltre vent’anni fa.
Che gli “studenti coranici” si siano pentiti del folle gesto, a lungo fattore fondante di un declassamento internazionale a organizzazione barbarica? O che piuttosto sappiano come lavorare con gli occidentali, cioè cosa fare e cosa non fare per ottenere supporto in aree specifiche? Una cosa è certa: la decisione si pone nel solco di una politica silenziosa ma efficace, che già lo scorso anno aveva visto i leader del nuovo Emirato islamico dell’Afghanistan dichiarare di voler favorire la conservazione del patrimonio tangibile, compresi i monumenti pre-islamici. Lo stesso viceministro Azizi aveva visitato personalmente un altro sito fuori Kabul, Shewaki, interessandosi del restauro.

Giulia Giaume

https://the.akdn/en/how-we-work/our-agencies/aga-khan-trust-culture
https://www.aliph-foundation.org/

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Giulia Giaume

Giulia Giaume

Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…

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