Arte contemporanea e banalità: un legame sempre più stretto

Essere banali libera dalla necessità di scavare sotto la superficie, di ricercare un senso. Ma a quanto pare il mercato dell’arte premia questa tendenza. E allora perché preoccuparsi di non essere banali?

Durante la fiera Art Wynwood a Miami una donna, toccando una scultura di Jeff Koons del valore di 42mila dollari, l’ha mandata in frantumi. Si tratta di uno dei tormentoni del banale della serie balloon dog tanto celebrati da collezionisti, musei e gallerie. Un tormentone in frantumi, come i ritornelli senza qualità delle canzonette.
L’ideologia della fine delle ideologie del nostro tempo è una condizione che corrisponde a forme di rappresentazione collettiva di un’intera società. Essa supera i limiti dell’immagine individuale e investe interi strati della popolazione, trasversalmente. È in tale scenario che il culto del frivolo e del banale trova la sua incarnazione spettacolare nelle opere di molta arte “contemporanea”.
Le società primitive non conoscono qualcosa come il banale. Solo le società ricche, le società degli individui allevati nell’abbondanza delle merci, le società dell’accumulo del valore e della panoplia delle immagini conoscono il fenomeno della banalità. Come i negozi o i supermercati, i musei, le gallerie pubbliche e private “offrono” una gamma di oggetti culturali – opere d’arte – che si prestano a ricevere un valore estetico, un significato e un prezzo dopo un’accurata promozione pubblicitaria. Tutto ciò non è una novità.
Da questo punto di vista l’artista, seppure in forma diversa, è quello che un tempo si sarebbe chiamato lavoratore produttivo, poiché il suo lavoro “creativo” si trova fin dall’inizio soggetto alla stima, al prezzo e al valore, e viene realizzato al solo scopo di accrescere il capitale stesso. E dal momento che dal punto di vista del capitale la produzione non riveste alcuna importanza in sé stessa se non come strumento di arricchimento, il significato di un’opera è nullo.

Courtesy Bel-Air Fine Art

Courtesy Bel-Air Fine Art

IL POTERE DELLA BANALITÀ

Questa è la cornice all’interno della quale il fenomeno della banalità si irradia in ogni ambito della vita sociale come articolo di massa dell’economia. Perché, se per il mercato non ha alcuna importanza la ricerca di un senso o la prova di un nuovo possibile linguaggio, dal momento che si possono far soldi ugualmente senza questi requisiti, diviene “naturale” fare opere d’arte senza investire nel linguaggio e nella poetica. Si tratta di produrre opere che riescono ad avere il massimo della quotazione con il minimo investimento di idee e di ricerca.
D’altra parte la leggerezza del banale, la sua disarmante familiarità, sono il miracolo del consumo che si sostituisce nella ricerca di un significato qualsiasi nella produzione dell’arte. Esso rappresenta la disciplina estetica di massa all’insignificanza delle merci di cui l’arte in parte è ostaggio. Il banale in tale contesto è l’immagine esemplare della società dei consumi, dove la comunicazione, a qualsiasi livello, non avviene dentro la realtà, ma al riparo da essa, cioè nella fantasmagoria dei segni della realtà rappresentata dalle merci. È per questo che molte opere d’arte non sono più segni di un altro mondo, segni d’alterità, ma segni, come nel caso di Koons, dell’infantilizzazione dello sguardo. Un mondo infantilizzato, in fondo, cercherà sempre un eroe che penserà per esso. Come i balloon, questi animaletti fragili come bicchieri di cristallo che fanno sorridere i bambini e cercano protezione negli adulti.
La banalizzazione, dunque, non è una pratica che guarda a un fine, essa è senza verità e senza ragione. Si ha un bel far finta di nulla di fronte al suo cospetto, tuttavia essa plasma le coscienze e le azioni degli uomini più di quanto questi credano di tenerla a distanza. Non avendo né coscienza né inconscio, il banale diviene un’incognita che annulla qualsiasi inferenza di significato. Forse significano qualcosa i Puppy o i balloon di Koons? Tutti interrogano quest’arte banale, la espongono, la celebrano, mai in quanto niente, sempre per farla parlare, per attribuirle un valore che queste “opere” smentiscono.

“Si tratta di produrre opere che riescono ad avere il massimo della quotazione con il minimo investimento di idee e di ricerca

ARTE E BANALITÀ

Tutto questo sciocchezzaio è lì per nascondere che certa arte non ha altra funzione che quella di pubblicizzare la banalità che plasma la quotidianità. In quest’arte non si tratta più di rappresentare una realtà falsa o ipocrita, ma di celare, attraverso l’evidenza infantile della sua esposizione, il fatto che non c’è alcuna realtà da doppiare o da rappresentare. Perché, forse, questa presunta realtà non è mai esistita, se non come alibi per la rappresentazione. Quest’arte è fatta di puri segni in cui non vi è più traccia del vero e del falso, del bello e del brutto. Ruota come satellizzata attorno a un vuoto di cui cerca di dissimulare l’evidenza, come è evidente nel grande Puppy del Guggenheim di Bilbao ridotto a fargli da sfondo.

Marcello Faletra

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #71

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Marcello Faletra

Marcello Faletra

Marcello Faletra è saggista, artista e autore di numerosi articoli e saggi prevalentemente incentrati sulla critica d’arte, l’estetica e la teoria critica dell’immagine. Tra le sue pubblicazioni: “Dissonanze del tempo. Elementi di archeologia dell’arte contemporanea” (Solfanelli, 2009); “Graffiti. Poetiche della…

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