Fare i conti con l’imprevedibile. Parla l’artista Bosco Sodi
Dall’arte come terapia all’uso dell’argilla come materiale non controllabile, l’artista di Città del Messico in mostra alla Cardi Gallery di Milano parla della sua filosofia. Fra Buddismo e Wabi-sabi
Bosco Sodi (Città del Messico, 1970) è conosciuto per i suoi dipinti su larga scala dalle texture ricche e dai colori vivaci. Concentrandosi sull’esplorazione del materiale e sul gesto creativo, l’opera stessa diventa una memoria del dialogo tra l’artista e la materia grezza. Attingendo dalle opere prodotte tra il 2022 e il 2023, la mostra Mi ricordo, sì, io mi ricordo alla Cardi Gallery di Milano include dodici grandi sfere di argilla scenograficamente collocate al piano terra e una serie di grandi tele bianche, poste al primo piano della galleria. Ne abbiamo parlato con lui.
INTERVISTA A BOSCO SODI
Come è nata la sua passione per l’arte? C’è stato un momento in cui ha capito che sarebbe diventato un artista?
Quando avevo sei o sette anni mi fu diagnosticato un disturbo da deficit di attenzione, iperattività e dislessia. Così, invece di farmi assumere dei farmaci, come era comune all’epoca, mia madre decise di iscrivermi a corsi d’arte speciali per bambini come me. Era l’unico momento della settimana in cui mi sentivo veramente connesso con me stesso, altrimenti mi agitavo parecchio. Fin dall’inizio mi sono sentito molto a mio agio a fare arte, sembrava totalmente necessario per sentirmi bene. Quindi non è che sono diventato un artista, ma, facendo questi corsi terapeutici due volte alla settimana, mi ci sono ritrovato e lo faccio ancora oggi.
Il suo lavoro si basa spesso sull’utilizzo di materiali non convenzionali che hanno qualità grezze e naturali. In che modo questi materiali influenzano la sua pratica artistica?
Cerco sempre materiali organici, tutto il mio lavoro tratta di come il passare del tempo, la mancanza di controllo e la patina creino opere totalmente uniche e non ripetibili. Quindi uso materiali come l’argilla, che è molto organica, affinché ci sia una mancanza di controllo. Una grande parte del lavoro non è controllata da me, ma diventa un processo naturale. Questo è ciò che lo rende unico e totalmente organico. Mi concentro molto sul processo, poiché, come abbiamo detto prima, fa parte della mia terapia, e gestire questi materiali è importante per me. Infatti il risultato è sempre imprevedibile, anche per me. Ed è ciò che lo rende divertente. Se dovessi fare sempre lo stesso dipinto allo stesso modo, non sarebbe una terapia perché mancherebbe l’aspetto della sorpresa e dell’imprevedibilità.
La sua mostra alla Cardi Gallery di Milano s’intitola Mi ricordo, sì, io mi ricordo. C’è un significato particolare racchiuso in questo titolo?
Cerco sempre di scegliere titoli che non abbiano nulla a che fare con la mostra. Questo titolo, ad esempio, si riferisce a un bellissimo documentario su Marcello Mastroianni in cui alla fine del film inizia a raccontare tutte le cose che ricorda della sua vita, cominciando ogni frase con l’espressione “Mi ricordo, sì, io mi ricordo”.
Qual è il legame con la sua arte?
Penso che in un certo senso l’argilla si esprima nella stessa maniera: l’argilla risale al nostro passato e alla nostra evoluzione, è uno dei primi materiali utilizzati dall’umanità, ad esempio per produrre bicchieri. Mi piace pensare che faccia parte del nostro DNA. Mi piace attribuire nomi molto astratti alle mie mostre. A volte con riferimenti a canzoni o film. Nel caso specifico ho scelto questo titolo perché è un bel documentario. E anche l’argilla parla molto di memoria. Ho sempre voluto essere astratto nella scelta dei titoli perché non voglio dare un suggerimento alle persone che guardano il lavoro, lo renderebbe noioso. Se avessi scelto il titolo “pianeti”, ad esempio, tutti avrebbero detto “sì, i lavori somigliano a dei pianeti”, senza nessuna personale interpretazione.
I PROGETTI DELL’ARTISTA BOSCO SODI
Il suo lavoro sembra spesso bilanciarsi tra caos e controllo, con elementi di casualità e spontaneità mescolati a scelte più deliberate. Come raggiunge questo equilibrio?
A un certo punto il lavoro va da solo. Ho impiegato due giorni a realizzare ogni singola sfera in mostra. Le produco a mano, poi le metto ad asciugare e da quel momento in poi non posso fare più nulla. È un processo che richiede un anno, fino a quando vengono bruciate con gusci di cocco, semi di jacaranda e altri materiali. Il risultato non è mai sotto il mio controllo. Lo definisco un processo di “controllo-caos”, cerco sempre di controllare l’imprevedibilità ma in un certo modo è proprio l’imprevedibilità stessa che controlla anche il lavoro. La medesima cosa accade con i dipinti in mostra, li ho creati orizzontalmente. Dopodiché, il tempo, la chimica della pittura e i materiali utilizzati dettano il risultato. Tutti i miei lavori trasmettono questa sensazione naturale perché alla fine io sono solo parte del processo.
Casa Wabi – il centro artistico che lei ha fondato a Oaxaca – incorpora materiali naturali grezzi nella sua architettura e design. Quali sono gli obiettivi del progetto e come ha influenzato il suo processo artistico?
Ho creato Casa Wabi perché prima di tutto credo che ogni persona debba lasciare il mondo in maniera migliore rispetto a come l’ha trovato. In secondo luogo, quando sono diventato un artista di successo, ho pensato a come potessi restituire questa fortuna. Innanzitutto, ho pensato di restituire qualcosa al mio Paese, il Messico, e poi ai miei colleghi artisti giovani, perché all’inizio della mia carriera ho sofferto anche io, come ogni altro artista. Quindi ho creato questa fondazione dove gli artisti vanno e collaborano con la comunità, scambiando conoscenze. Ho iniziato a usare l’argilla quando ho aperto Casa Wabi, mi piace pensare che uno dei regali che ho ricevuto da questa esperienza sia stata la possibilità di lavorare con l’argilla e di usarla come nuovo materiale all’interno della mia pratica.
La tradizionale filosofia giapponese Wabi-sabi, che valorizza la bellezza dell’imperfezione e il ciclo naturale di crescita e decadimento, ha influenzato il suo approccio alla creazione artistica?
Come dicevo, il mio lavoro riguarda il processo ma anche la ricerca dell’imprevisto. Quando faccio lezioni in università, dico sempre ai miei studenti che il modo migliore per trovare il proprio linguaggio artistico è quello di accettare e seguire l’imprevisto. Fin da giovane ho iniziato a leggere testi sul Buddismo e poi sulla filosofia Wabi-sabi ed è qualcosa che concretizzo nella mia vita quotidiana perché mi piace il concetto di memoria, energia, patina e il passare del tempo.
FARE ARTE SECONDO BOSCO SODI
Il suo lavoro è stato esposto in molti Paesi del mondo. Crede che risuoni in modo diverso negli spettatori a seconda di dove viene mostrato?
Penso che il mio lavoro parli all’essenza degli esseri umani e l’anima degli esseri umani è la stessa in ogni Paese, quindi non si tratta di un aspetto culturale. Si tratta di sentimenti: per apprezzare un tramonto, ad esempio, non devi essere tedesco o italiano, la lettura è sempre la stessa.
Dato che ha esposto più volte in Italia, le vorrei chiedere se c’è qualche artista o movimento artistico italiano che abbia avuto un’influenza su di lei.
Anche se non in modo molto consapevole, amo l’Arte Povera. In generale, fin dai miei vent’anni, sono sempre stato attratto da Roma, dalla possibilità di vedere il decadimento delle rovine. Ha sicuramente influenzato il mio lavoro. Inoltre, la famiglia di mia madre è italiana. Quindi, in un certo senso, mi sento molto connesso.
Pensando al futuro, quali sono i suoi progetti?
Al momento alcune sfere in argilla simili a quelle esposte a Milano sono in mostra negli ambienti di Harvard Art Museums. Poi ci saranno alcune mostre a settembre con le mie gallerie di New York e Tokyo. L’anno prossimo farò una mostra all’He Art Museum in Cina: sarà la più grande mostra personale che io abbia mai fatto.
Sole Castelbarco Albani
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