“Cambiate il nome di quel museo”. Gli attivisti dell’artista Nan Goldin protestano a Harvard
I manifestanti hanno chiesto ancora una volta alla scuola di cambiare il nome dell'Arthur M. Sackler Museum, interno al complesso universitario, per il coinvolgimento della sua famiglia nello scandalo degli antidolorifici statunitense
Intitolare è celebrare, su questo ci sono pochi dubbi. Ma come si può celebrare chi è, direttamente e indirettamente, responsabile della morte di centinaia di migliaia di persone? Per rispondere a questa domanda gli studenti di Harvard protestano da mesi perché sia cambiato il nome dell’Arthur M. Sackler Museum, interno alla prestigiosa università dell’Ivy League: quello che contestano è la volontà di onorare un uomo la cui famiglia ha avuto e ha tutt’ora un considerevole ruolo nella crisi degli oppioidi che da anni devasta gli Stati Uniti e le sue fasce più fragili. Lo scorso 20 aprile una folla di manifestanti, a cui si è unito il gruppo di attivisti PAIN (Prescription Addiction Intervention Now) della fotografa Nan Goldin, ha lanciato fiale e prescrizioni di medicinali falsi nell’atrio del museo, brandendo cartelli di accusa e sdraiandosi sul pavimento del locale in un sit it, o meglio in un “die-in”, inteso a rappresentare il numero di vite perse a causa della dipendenza da oppiacei.
LA CRISI DEGLI OPPIOIDI NEGLI STATI UNITI
“L’attuale crisi degli oppioidi è considerata una delle più devastanti catastrofi per la salute pubblica del nostro tempo. È iniziata a metà degli anni ’90 quando il potente agente OxyContin, promosso da Purdue Pharma e approvato dalla Food and Drug Administration (FDA), ha innescato la prima ondata di decessi legati all’uso di oppioidi da prescrizione legale. Poi è arrivata una seconda ondata di morti da un mercato dell’eroina che si è espanso fino ad attirare persone già dipendenti. Più di recente, una terza ondata di decessi è stata causata da oppioidi sintetici illegali come il Fentanyl. Oltre allo schiacciante fardello per la salute pubblica delle morti prevenibili, milioni di altri sono colpiti da problemi correlati che coinvolgono, ad esempio, i senzatetto, la disoccupazione, l’assenteismo e la rottura delle famiglie”. Così dichiarava l’anno scorso Howard Koh, professore (ironicamente, di Harvard) della Pratica della leadership della sanità pubblica e membro della Commissione Stanford-Lancet sulla crisi nordamericana degli oppioidi. Tra prescrizioni troppo facili di oppioidi come antidolorifici, interruzioni brusche dettate dalla fine della copertura sanitaria e la conseguente dipendenza degli ex-pazienti che li porta a reperire in autonomia delle sostanze sostitutive (spesso morendo di overdose), gli Stati Uniti sono da anni preda di una “crisi degli oppioidi”. Il numero di decessi per overdose in questo campo è aumentato di quasi il 30% dal 2019 al 2020 ed è quintuplicato dal 1999, al punto che quasi il 75% dei 91.799 decessi per overdose nel 2020 ha coinvolto un oppioide. “La crisi rappresenta un fallimento multisistemico della regolamentazione. L’approvazione di OxyContin è un esempio: in seguito è stato dimostrato che Purdue Pharma ha presentato una descrizione fraudolenta del farmaco secondo cui dava meno dipendenza rispetto a altri oppioidi. Il motivo del profitto dell’industria farmaceutica rimane sempre presente”, si legge ancora nell’intervista al professore sul portale di Harvard. Resta da notare che la società farmaceutica Purdue Pharma è dei Sackler.
LA PROTESTA DEGLI STUDENTI DI HARVARD CONTRO I SACKLER
La dimostrazione degli scorsi giorni è molto simile a quella orchestrata da PAIN nello stesso museo nel 2018: a questa erano seguite rimozioni internazionali del nome dei Sackler da istituzioni culturali di primo piano come il Louvre, il Metropolitan Museum of Art e la Serpentine Gallery.
Nonostante i numerosi richiami dei suoi studenti, che intanto protestano anche per rinominare i dormitori “Winthrop” dedicati agli omonimi schiavisti, Harvard continua a rifiutarsi di seguire l’esempio nazionale e internazionale. Quattro anni fa, il presidente dell’università Lawrence Bacow disse che sarebbe stato “inappropriato” per la scuola rinominare il suo museo, dal momento che il suo omonimo “morì prima che il farmaco fosse sviluppato”. Golding ha ribattuto che “affermare che Arthur Sackler è innocente è storicamente inesatto: ha progettato lo schema pubblicitario farmaceutico corrotto utilizzato da Purdue per inondare l’America di Oxy, innescando la crisi dell’overdose. È responsabile quanto un qualunque Sackler. Chiedo che il nome Sackler venga cancellato”. L’artista è molto coinvolta nella lotta per far ritenere la famiglia Sackler responsabile della crisi degli oppioidi: proprio la sera prima della protesta, Harvard aveva sponsorizzato la proiezione del documentario All the Beauty and Bloodshed di Laura Poitras (candidato all’Oscar) dedicato a Golding e al suo attivismo in materia. Ora non resta che attendere una risposta ufficiale, che tarda a farsi sentire, anche se un portavoce della scuola ha detto alla rivista Hyperallergic che “l’università ha stabilito un processo per prendere in considerazione la denominazione di spazi, programmi o altre entità. È stata presentata ed è attualmente in fase di revisione una proposta per rinominare l’Arthur M. Sackler Museum e l’Arthur M. Sackler Building”.
Giulia Giaume
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