Gatti, piccioni e altre storie nella mostra di Kiki Smith a Milano
Le sculture e gli acquerelli di Kiki Smith alla galleria Raffaella Cortese chiamano in causa il mondo animale, presenza spesso schiacciata dal peso della città
Riprendendo un verso di una poesia di T. S. Eliot, Il nome dei gatti, Kiki Smith (Norimberga, 1954) torna alla galleria Raffaella Cortese, confermando il sodalizio con la città di Milano e omaggiano i suoi più silenziosi abitanti. Con The cat himself knows Smith si discosta dalle tematiche intimistiche che l’hanno resa celebre nel palinsesto artistico internazionale per approdare ora a un episodio più fiabesco e onirico.
Nella sala espositiva si attraversa un piccolo ecosistema scultoreo fatto di gatti e piccioni variopinti, che invitano ora a un silenzioso incontro con essi ora a una contemplazione solitaria, dolce. Animali talora dimenticati e disprezzati dalla profonda frenesia milanese, impressi nella plasticità di sculture lignee quasi bidimensionali, direttamente connesse alla fascinazione dell’artista per le più diversificate tecniche di grafica.
LA MOSTRA DI KIKI SMITH A MILANO
Sulle pareti, Smith riprende il soggetto delle sculture con la serie di disegni ad acquerello su carta giapponese intitolata Empath, una carezza visiva dai tratti delicati e variopinti: senza sfondo, la poetica presenza dei soggetti sulla carta è sufficiente a evocare trame immaginarie.
La mostra è il secondo capitolo di una storia iniziata nel 2019 con Guardiane, sculture totemiche bronzee di gatti addormentati ‒ cui Kiki Smith ha assegnato un ruolo di protezione nei confronti di Milano, suggestionata dalla comunità felina del Castello Sforzesco ‒, realizzate per l’inaugurazione del giardino delle sculture di CityLife.
Sophie Marie Piccoli
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati