Il 2011 è iniziato all’insegna dell’ottimismo per il mercato dell’arte; le ultime tornate d’asta hanno spinto gli operatori a dichiarazioni trionfalistiche: tutto il gap è stato colmato, il boom continua, i prezzi sono tornati ai livelli pre-crisi. La evenig sale del 16 febbraio scorso a Londra ha totalizzato quasi 100 milioni di dollari ($ 99.190.888) contro i 61,1 dello scorso anno. Anche Sotheby’s, nella giornata del 15, con i suoi 71 milioni di dollari e spicci ha superato le previsioni della vigilia fissate tra 48,7 e 68,9 milioni e Phillips de Pury, con un’oculata strategia diversificata tra miniaste e appuntamenti esclusivi come l’incanto della collezione dell’IVAM di Valencia, registra un’inversione di tendenza anche nel segmento strettamente contemporaneo.
Anche le recenti fiere internazionali si sono chiuse con meno ansie e prospettive incoraggianti. Persino la VIP Art Fair, la prima fiera virtuale tenutasi via web, annuncia una seconda edizione nonostante le critiche, gli inghippi tecnici e il farraginoso andamento dell’esordio.
Certo, più si scende nella scala gerarchica del mercato e più si fanno tangibili le difficoltà irrisolte. La fiducia è tornata ma non per tutti e, soprattutto, c’è chi guarda con preoccupazione a quanto avvenuto negli ultimi anni: dalle stelle alle stalle e ritorno, al pesante tonfo inatteso del 2008 è seguito un recupero immediato a partire dalla seconda metà del 2010.
Un caso isolato? E se invece fosse questa la fisionomia del nuovo mercato dell’arte? Discontinuo, irregolare, frammentario, decentrato, volatile, segnato da periodi di intensa euforia bilanciati da eventi catastrofici di breve durata?
Il dubbio è condiviso anche da una parte degli analisti. Mike Collett-White ne dà conto in un suo articolo apparso sulla Reuters il 3 febbraio (poi ripreso anche da Artinfo.com), rilevando alcuni segnali controversi.
Uno dei fenomeni significativi del mercato dell’arte è l’allargamento dei clienti, recentemente cresciuti del 23% secondo il presidente di Christie’s in Europa Jussi Pylkkanen, che dichiara anche un rassicurante aumento del 13% dei compratori. Sono i nuovi ricchi del mercato globale russi e asiatici a rappresentare una risorsa per molti, per alcuni anche un’incognita.
Tra i commenti durante la fiera di Arco si registrano in questi giorni quelli di preoccupazione per il piccolo e medio collezionismo, un fallimento del sogno di un mercato trasversale coltivato a partire dagli anni ’90.
L’arte è tornata a essere un affare riservato a pochi privilegiati.
La vera preoccupazione malcelata è connessa al rischio di una progressiva moltiplicazione degli episodi speculativi; la nuova era del mercato dell’arte si è aperta all’insegna di un collezionismo dinamico, in perenne movimento, molto vicino a una vera e propria intrapresa finanziaria, perfetta riserva di caccia per i nuovi imperi finanziari.
Gli esperti dell’istituto di ricerca ArtTactic citano l’arte cinese come caso tipico a rischio. Gli artisti di quell’area sono apparsi praticamente immuni dagli effetti della recente crisi perché sostenuti da un’economia che sembra inarrestabile. Ma cosa accadrebbe se anche la Cina entrasse in un periodo di recessione? Cosa ne sarebbe a quel punto di un collezionismo così solidamente ancorato al boom economico? Quali conseguenze ne deriverebbero per i 4.786 musei occidentali che, secondo Georgina Adam, corrispondente di The Art Newspaper, hanno raccolto opere di 874 artisti cinesi in pochi anni?
Tra i soggetti più esposti a un mercato divenuto sempre più spregiudicato e aggressivo ci sono certamente i musei e le pubbliche collezioni. In Francia fa discutere (e preoccupa) il caso recente del Centre Pompidou, che ha perduto la donazione del produttore cinematografico Claude Berri morto nel 2009, a causa di sospette manovre burocratiche. Il regista occulto sarebbe stato il broker Philippe Ségalot, grazie al quale la collezione del valore di 30 milioni di euro e composta da opere di Ryman, Reinhardt, Flavin, Serra, Fontana e Morandi sarebbe stata ceduta forse a un misterioso collezionista forse americano, forse a un museo del Qatar.
Tra i bersagli più probabili di episodi speculativi ricorre il nome di Warhol, venuto alla ribalta nei giorni scorsi per la vendita record per oltre 10 milioni di sterline di un autoritratto del 1967. Se lo è aggiudicato il gallerista Larry Gagosian battendo la concorrenza del collezionista israeliano Jose Mugrabi, che si dice abbia accumulato oltre 500 opere del padre della Pop Art, una dotazione niente male che gli consentirebbe di influire in modo decisivo sull’andamento dei prezzi.
L’entusiasmo che domina il mercato da alcuni mesi sembra aver ridotto la crisi recente a una sorta di innocuo pit stop, i rischi emersi dai nuovi scenari geoeconomici poco più di un inciampo, anzi si alimenta l’illusione di una rassicurante solidità.
È uno spirito di riflusso a ispirare il ritorno a un edonismo perverso, la rimozione psicologica delle incognite connesse a una situazione politico-economica mondiale forse troppo complessa e instabile per poter fare previsioni anche solo sul breve periodo.
Così si accredita l’idea di una perpetuazione del boom, dell’espansione inarrestabile, nonostante tutto. Le maggiori case d’asta, Christie’s e Sotheby’s, promettono solidità e continuità proprio mentre circolano voci circa una loro possibile, clamorosa vendita a compratori mediorientali, evento che sposterebbe definitivamente l’asse del mercato da occidente a oriente.
Con l’internazionalizzazione e diffusione del mercato gli operatori sono obbligati a fare i conti. Il nomadismo per le vetrine delle fiere sembra ormai cosa passata, la caccia alle piccole gallerie sperimentali un giochino da ragazzi. Tra le nuove frontiere si fa largo il modello delle mega-galleries, strutture articolate con succursali in tutto il mondo come Gagosian (11 sedi), la newyorchese Pace (5 sedi) Hauser & Wirth o Haunch of Venison (3 sedi), vere e proprie multinazionali che ambiscono a diventare i referenti privilegiati di musei e collezioni pubbliche e private dell’area geografica di pertinenza.
Il mercato del riflusso è anche in questo stallo strutturale che premia il pragmatismo e l’individualismo del più forte cui finisce per essere concessa una pericolosa ed eccessiva autorità.
Alfredo Sigolo
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