Morto Franz Paludetto, grande gallerista fondatore del Castello di Rivara
Il gallerista torinese, originario di Oderzo, si è spento a 84 anni nel suo Castello di Rivara, alle porte di Torino. Il suo gioiello, col suo centro d’arte ideato insieme all’amico Aldo Mondino
Si definiva “uno strano personaggio ai margini dell’arte” e per tutta la vita, in fondo, lo è stato. Stiamo parlando del gallerista Franz Paludetto, spentosi questa mattina a 84 anni nel suo Castello di Rivara, la sua pietra miliare, col suo centro d’arte “inventato” insieme all’amico Aldo Mondino. Dopo Tucci Russo, scompare così, nel giro di poco tempo, un altro pezzo della Torino dell’arte di un’epoca irripetibile che noi di Artribune vorremmo documentare, prima che sia troppo tardi, con un ciclo di video.
CHI ERA FRANZ PALUDETTO
Originario di Oderzo, classe 1938, è arrivato a Torino per caso, sbagliando treno. Prima di diventare gallerista ha fatto di tutto: il barista a Mirafiori, il venditore di auto e il direttore d’albergo sul Monte Bianco, dove ha fatto la sua prima mostra. Segni particolari: capacità di arrangiarsi e incontri fortuiti con grandi artisti, da Gina Pane a Roman Opalka. Negli anni ha cambiato tanti spazi, fra Torino nel ’68 con la prima galleria Franzp, con personaggi come Marco Gastini, Ezio Bersezio e Nanni Cortassa e la LP220 di via Carlo Alberto, su due piani, dove è partita tutta la sua storia, che va dai concerti di LaMonte Young alle mostre di Giuseppe Chiari e Roman Opalka. E poi Calice Ligure, teatro di un falso matrimonio tra Nanda Vigo e Renato Mambor e sede delle mostre di un solo giorno dal titolo A Calice Ligure non c’è il mare; Norimberga con la Linding in Paludetto; Roma, nel quartiere San Lorenzo; e di nuovo a Torino in via Stampatori insieme al figlio Davide che ora ha una sua galleria in via degli Artisti e dentro il Castello di Rivara, dove è in corso fino al 31 maggio la personale di Kiril Hadzhiev. “Io ho cambiato tanti spazi non perché non pagassi l’affitto, ma perché privilegiavo il momento in cui accadevano le cose. Per il tipo di installazioni che si facevano allora era normale che, una volta consumate, l’artista avesse bisogno di un nuovo spazio per creare, sennò si produceva una ripetizione e la cosa non mi interessava. Questa è la mia storia di gallerista, anche se non sono proprio un gallerista, in definitiva. Normalmente i miei colleghi, ai quali voglio tanto bene, cercano sempre di carpire le cose di qualcuno che si è già affermato. Io invece non volevo fare artisti come Mario Merz, perché non mi appartenevano, non erano mie storie. Io volevo una mia storia”, questo ci diceva Paludetto in una nostra intervista del 2014 che racconta bene chi fosse questo gallerista dall’approccio coraggioso, nutritosi di ricerca e orientato a un continuo rinnovamento.
IL CASTELLO DI RIVARA – CENTRO D’ARTE CONTEMPORANEA
Ma lo spazio più importante di tutti è stato, e lo è tuttora, il Castello di Rivara, alle porte di Torino, con una importante collezione di arte contemporanea. Si tratta di un complesso costituito da due edifici: un maniero medievale e un palazzo neobarocco, meglio conosciuti come il castello superiore (o castello vecchio) e il castello inferiore (o castello nuovo), da un corpo di scuderie e dal parco che si estende su tutta la collina. Un castello che nel 1985, insieme ad Aldo Mondino, Paludetto trasforma in un centro d’arte contemporanea, ospitando mostre importanti, con artisti del calibro di Stephan Balkenhol, Bernd&Hilla Becher, Isa Genzken, Felix Gonzalez-Torres, Paul McCarty, Raymond Pettibon, Maurizio Cattelan, Dan Graham, Gordon Matta Clarck, Joseph Beuys, Candida Höfer: qui alcuni non ci hanno solo lavorato, ma ci hanno proprio vissuto per qualche anno. Una frequentazione e una fitta programmazione all’insegna di una grande collettiva annuale “permanente” denominata Equinozio d’Autunno e di room installation – ogni stanza è dedicata a un artista, a cura di molti nomi che hanno animato il movimento torinese tra gli anni ’80 e oggi –, che negli anni gli è valsa la denominazione di “Museo d’Arte Contemporanea” con un suo centro di documentazione. Nel 2018 è teatro della mostra Gotico Industriale, a cura di Fabio Vito Lacertosa, un passaggio storico della città di Torino dagli anni ’80 ai ’90 e nel 2021 è la volta di Pittura Ambiente: un ritorno importante alla scelta di giovani che raccontino la contemporaneità e la pittura nel rapporto con i luoghi del Castello.
IL RICORDO DEL CURATORE DI SUE TANTE MOSTRE FABIO VITO LACERTOSA
“Di lui si è detto tutto. Ha alimentato leggende e ha acceso animi come si concede a poche persone al mondo. Tutti, addetti ai lavori o semplici comparse dell’arte, hanno un aneddoto speciale su di lui. Ma pochi lo hanno conosciuto davvero. Instancabile viaggiatore, investigatore di pensieri nuovi, avventuriero e talvolta incosciente navigatore di acque non battute da alcuno. Classe 1938, Franz Paludetto nasce dalla parte sbagliata della Storia. Suo padre, infatti, è podestà di una città veneta di nome Oderzo. Viene sradicato ben due volte dall’infanzia: la prima per via del regime militare cui è sottoposto in famiglia; la seconda, alla fine della guerra, quando osserva cambiare il suo status e saggiando lo scotto dell’umiliazione pubblica, trattato come “il figlio del fascista”. È appena un bambino e ovviamente non ne capisce il perché, ma da allora la sua vita vira nel segno della ricerca di un’identità e di un posto nel mondo che fosse solo suo e nel quale nessuno potesse mettere definitivamente becco. Da questo angolo visuale nasceranno tante scelte anticonformiste e scabrose degli anni ’60 e ’70, e tanti sodalizi successivi con il mondo di matrice tedesca, una cultura che si trovava a fare i conti con la storia attraverso un tipo di approccio molto affine al suo vissuto personale. In questo senso, pur affascinato dal ruolo degli intellettuali, ma identificandosi infine con chi non aveva studiato, poteva ritenere illuminante interrogare chiunque potesse dargli uno spunto per un’intuizione o un affare. E in questo turbine di azione ha travolto, convinto e trasformato chiunque lo conoscesse. Ha vissuto forte anzi fortissimo. Ha attraversato un secolo, una disciplina, una città, facendo assolutamente rumore”.
Claudia Giraud
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