Corrado Odifreddi / Walter Falco – Spazio
Un omaggio devoto alle copertine di Urania, che ci portano indietro (e avanti) nel tempo, con un enigmatico tondo scuro (buco nero) dai contorni morbidi di Corrado Odifreddi e le linee di mari e orizzonti delle fotografie di Walter Falco.
Comunicato stampa
SPAZIO
Se ti dicono Spazio, nella tua testa, immediatamente si fa buio.
A poco a poco, dapprima lenti poi sempre più veloci, scorrono i titoli di testa obliqui, incombenti, e la mente va agli ipnotici screen saver di una volta, e pian piano arriva il sonoro: le percussioni cadenzano solennemente una marcia.
Con questa idea di fantascienza in effetti si è giocato, a cominciare dalla locandina, dove, alla parola Spazio, è associata in campo bianco la forma rotonda a contenere una sintesi della esposizione. Un’opera per ognuno dei due artisti in mostra.
Un omaggio devoto alle copertine di Urania, che ci portano indietro (e avanti) nel tempo, con un enigmatico tondo scuro (buco nero) dai contorni morbidi di Corrado Odifreddi e le linee di mari e orizzonti delle fotografie di Walter Falco.
Se ti dicono Spazio una seconda volta, l’idea si focalizza su un posto da riempire: la white box del Fondaco che ancora una volta diventa, coi suoi due piani, un contenitore perfetto.
Dal basso verso l’alto, appena varcata la soglia, si è proiettati in una Camera dalle pareti aliene creata da Corrado Odifreddi, che come accaduto in precedenza con le sue opere/installazioni, ci immerge in una wunderkammer dalle pareti chiare dove un intrico di linee derivato da un gesto istintivo viene razionalizzato da un segno che ne delinea e regolarizza i contorni, diventando un sistema di linguaggio sconosciuto e lineare allo stesso tempo, rimandando a un groviglio pop in linea chiara.
Ho conosciuto il lavoro di Corrado nel 2015, quando creò, sempre in collaborazione con Il Fondaco, “Eclisse, 300 e forse più” una grande installazione aerea nella chiesa romanica di Santa Maria del Monastero a Manta, in cui fluttuavano dall’alto della navata centrale moltitudini di corpi celesti di dimensioni variabili.
L’eco di questa Eclisse si ritrova nei corpuscoli di grafite su carta che ricadono dall’alto, in connessione, questa volta, con il grande pilastro e le travi in ferro della stanza, ciò che resta del magazzino di inizio Novecento che è stato questo luogo.
Il lavoro di Corrado scaturisce da un metodo rigoroso, un approccio paziente e arcaico per narrare di volte celesti, di linguaggi e paesaggi alieni, attraverso i segni delle carte stampate sulle pareti, le saturazioni a grafite, i tondi, le eclissi, e in ultimo, appena usciti dalla Camera, lucido e morbido di grafite, un Mare, a segnare il confine e indicare la strada verso l’altra esposizione.
Spazio, a questo punto del percorso, assume un altro significato ancora, qui diventa la sospensione sulla tastiera tra una parola e un’altra, tra “Cielo” e “Mare” e in questa tregua avviene l’incontro tra l’ultima opera in basso di Odifreddi e la prima, in alto, di Falco che introduce ai diciassette scatti fotografici della seconda parte della mostra.
Le fotografie esposte raffigurano quasi tutte il mare dal punto di vista della spiaggia, sono località italiane ma non hanno connotazioni con il paesaggio che le rende riconoscibili.
Sono scatti in cui la presenza umana è secondaria ma è sempre percepibile a volte in maniera grottesca, a volte malinconica come le torrette di sorveglianza, i giochi da spiaggia e gli ombrelloni chiusi, sopraffatti dalla mareggiata incombente di un pomeriggio d’estate che volge al termine.
Il mare in bianco e nero di Walter riconduce a ricordi comuni, semplici, quasi banali, di meste ferie d’agosto.
A tratti risuonano echi di pittura romantica, non senza risvolti ironici, come nelle strane posture in cui un uomo e un bambino, entrambi di spalle, contemplano dal bagnasciuga l’orizzonte.
L’attimo colto del gabbiano in volo, il momento perfetto della folata di vento sulla palma inclinata come l’uomo che lontano cammina sulla sabbia ci danno la misura di questo lavoro dai toni profondi e allo stesso tempo leggeri.
Il mare diventa soglia che ci separa dall’ignoto, una sorta di portale per andare oltre al confine segnato dalle rocce frangiflutti: l’enigma di che cosa c’è al di là di questo Spazio conosciuto non è dato sapere.
Walter Falco è un pittore oltre ad essere un fotografo e visitando il suo studio ci si rende conto di quanto questi due linguaggi in lui siano inscindibili. I suoi soggetti sono semplici, appartengono a un vissuto comune, quotidiano, affrontati però con una ricerca particolare, rigorosa, a volte addirittura lirica come le tele con le “vedute” di paesaggi italiani in bianco e nero, “leggermente fuori fuoco” a citare da un lato l’opera di Richter e dall’altra il titolo del reportage di Capa.
All’interno della sala, due opere in particolare non sono dedicate al mare, la volta celeste in alto sulla scala all’inizio del percorso e a chiudere lo Spazio, l’immagine surreale di una tenda che incorniciata e stampata senza margini diventa finestra, un altro varco oppure, perfetto per un finale, un sipario.