Paolo Portoghesi, l’archistar ante litteram
Il critico bolognese Renato Barilli ripercorre la storia dell’architetto e amico scomparso pochi giorni fa. Autentico modello per chi è venuto dopo di lui
Visto il coro unanime di elogi e di ricordi suscitati dalla scomparsa di Paolo Portoghesi (Roma, 1931 – Calcata, 2023), non ci sarebbe bisogno di una testimonianza in più resa da me, ma sento l’impulso di farla lo stesso. Cominciando col ricordare che eravamo entrambi legati alla nave di Bettino Craxi, anche se lui in modo ben più intimo di me: io ero solo una starlet minore.
Ma condividevamo la stessa antipatia per Bruno Zevi, del resto da lui ricambiati. Ricordo che quando Portoghesi fu nominato, da Claudio Martelli, alla testa della Biennale di Venezia, fui il primo a rallegrarmi con lui, diciamolo pure, con la speranza che si ricordasse di me mandando a segno una mia vecchia ambizione di essere nominato direttore alla Biennale nella sezione arte. Questa cosa non fu mai ottenuta, sempre battuto sul filo dell’arrivo da altri pretendenti, piazzati meglio di me nel gioco romano, da cui io, bolognese di nascita e di residenza, ero fuori.
PAOLO PORTOGHESI E LA BIENNALE DI VENEZIA
Questo non mi impedì di plaudire alla Strada Novissima, la mostra con cui Portoghesi coronò magnificamente la sua nomina alla presidenza della Biennale, fra l’altro inaugurando il ricorso all’appendice mai più abbandonata delle Corderie dell’Arsenale. Fu una magnifica esibizione dello stile postmoderno, attraverso le facciate fatte erigere in facsimile da una squadra di tecnici di Cinecittà, dove comparivano fianco a fianco tutti i più prestigiosi architetti del nuovo stile postmoderno. In seguito lo stesso Portoghesi volle essere seguace di quell’impresa “novissima”, ma forse, come progettista in proprio, si smarrì in una serie di dettagli decorativi che rendevano meno imponenti le sue creazioni. E con l’aiuto della moglie tentò poi di battere quella medesima strada sul fronte della pittura, aprendo una galleria vicino a Piazza di Spagna, dove esponeva opere in stile anacronista, o di arte colta, come si diceva allora.
L’ARCHITETTURA SECONDO PORTOGHESI
Ricordo anche un periodo di intensa vicinanza a Cortina d’Ampezzo, dove ebbi l’onore e il piacere di portarlo ad ammirare la grande Colonia Eni voluta da Mattei e da lui data da realizzare al forse più grande nostro architetto del dopoguerra, il cortinese Gellner, forse un suo predecessore sulla medesima strada di saper conciliare l’attenzione alla funzionalità degli edifici e la necessità di dar loro pure un decoro ornamentale. Zevi non avrebbe certo approvato, ma quella linea ora ha vinto e le archistar del mondo intero vi si adeguano.
Renato Barilli
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