Il cinema di Lars von Trier nella casa di Masaccio
A San Giovanni Valdarno, il regista danese dialoga con le opere del suo connazionale Per Kirkeby. Innescando un discorso fatto di scultura e linguaggio filmico
Casa Masaccio è una realtà dedita da oltre quarant’anni alla sperimentazione artistica, con sede nella dimora natale del pittore Masaccio, a San Giovanni Valdarno. Lo spirito di ricerca promosso dall’istituzione, sulla falsariga della rivoluzione rinascimentale attuata dal celebre concittadino nel XV secolo, ha dato vita a uno dei più interessanti contenitori per l’arte contemporanea attivi in Italia, toccando spesso una pluralità mediale nelle proposte espositive. L’arte cinematografica, argomento trattato sia nella sua accezione storico-critica sia nel suo sviluppo linguistico, ha acquisito negli anni un riguardo peculiare nelle rassegne e nei contenuti del programma del Centro, grazie anche al lavoro del noto critico Marco Melani, “l’uomo dall’occhio d’oro”, raffinato cinefilo e artefice di numerosi festival sul cinema d’autore, alla cui memoria San Giovanni Valdarno, sua città natale, dal 2006, su iniziativa di Enrico Ghezzi, dedica l’omonimo Premio cinematografico assegnato a quegli autori che si sono saputi distinguere per orientamento alla sperimentazione e alla marginalità.
L’ultima edizione del Premio Marco Melani, svoltasi lo scorso novembre, ha visto la celebrazione del regista Lars von Trier, certamente uno dei cineasti più originali e intraprendenti degli ultimi quarant’anni. La sua poetica non manca di riferimenti alla storia dell’arte e, più in generale, di una mirata correlazione tra linguaggi visivi, caratteristica che ha fornito il punto di partenza per allestire la mostra L’idea di Nord, visitabile fino al 18 giugno 2023.
LARS VON TRIER A CASA MASACCIO
La curatrice Rita Selvaggio, storica dell’arte legata a Casa Masaccio da un rapporto pluriennale, trae spunto dall’ultima edizione del Premio Marco Melani per mettere a confronto due mondi e due artisti dalle ricerche ben distinte eppure intimamente vicine, sia per dialettica sia per reciproca collaborazione.
L’idea di Nord, titolo condiviso con un saggio di Peter Davidson sulla letteratura nordica e la sua contemplazione epica, sviluppa gli aspetti spiccatamente pittorici dell’opera cinematografica di Lars von Trier (Kgs. Lyngby, 1956), coinvolgendo plasticamente i lavori di Per Kirkeby (Copenaghen, 1938-2018), tra i maggiori artisti danesi del secolo scorso, e rileggendo alcuni film topici della carriera di Von Trier, quali Le onde del destino (1996), Dancer in the Dark (2000), Anticristo (2009).
Video estrapolati dalle pellicole più iconiche si alternano, dunque, alle scarne sculture di bronzo o di mattoni ben note della produzione di Kirkeby. Non mancano i richiami alle colonne sonore (l’iniziale carrellata delle copertine dei capitoli tratti da Le onde del destino è un trionfo di folk-rock Anni Settanta, con incursioni di Leonard Cohen, Elton John, David Bowie, T-Rex, Jethro Tull, …) e numerosi frame fotografici delle citazioni vontrieriane sulla storia dell’arte, da Albrecht Dürer a John Everett Millais, fino a Eugène Delacroix.
VON TRIER E KIRKEBY A CONFRONTO
L’aspetto minimalista dell’apparato allestitivo è intimamente legato alla poetica di ambedue i protagonisti della mostra. Non siamo ai livelli del lirismo disciplinato enunciato da Dogma 95, benché resti viva e pulsante quella crudezza di forme e quella precisa collisione di masse che rende suggestivo il confronto aperto da L’idea di Nord, in particolare su tematiche inerenti il sociale, la religione e la natura matrigna.
Emerge un dialogo “per corrispondenza” sulla realtà umana riprodotta e vissuta contemporaneamente dai rispettivi media (filmico e scultoreo-architettonico), che potrebbe benissimo includere una dimensione frattale tra l’oggetto artistico e il filmato, in un continuo rimando tra il diegetico e l’extra-diegetico.
Ad esempio, si può intravedere una reciprocità nella ricerca di una terra di nessuno (il Nord è più uno stato d’animo che un luogo) ai limiti dell’apolidia, in contrapposizione all’ipocrita illusione di controllo della società dei consumi. Il J’accuse lanciato dal cinema di Von Trier, al pari del suo connazionale Thomas Vinterberg, regista co-fondatore del già citato movimento Dogma 95, si scaglia soprattutto contro quel milieu familiare e domestico della società borghese, macchiato di silenziosa indifferenza per la crescente corruzione qualitativa dell’arte cinematografica. È proprio sulla precarietà di questo sistema che il regista danese concentra la sua attenzione, così come Kirkeby, che, nel suo essere tenacemente eloquente, intende puntualizzare i vizi endemici della società borghese.
L’aspetto “dogmatico” dell’arte di Kirkeby è un discorso puramente formale, tuttavia consapevole della vis provocatoria posseduta dalla sua pittura e dalla sua scultura. Esattamente come Lars von Trier.
Luca Sposato
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