Paolo Portoghesi. L’architetto che faceva tesoro del passato
Dal legame con la natura a quello con il passato, un viaggio nel pensiero di Paolo Portoghesi, l’architetto scomparso il 30 maggio 2023
Un’intensa narrazione quella di Paolo Portoghesi (Roma, 1931 – Calcata, 2023), il racconto originale di un maestro che ha voluto fondere la ricerca storica con la sua produzione d’architettura, la riflessione con la prassi, il sogno con la materia. Forse per destino, Portoghesi è stato probabilmente l’unico a costruire realmente una “critica operativa”, o meglio una “storia operativa” – riallacciando de facto un legame ideale (nato e poi interrotto) con Bruno Zevi – dando seguito alle istanze storiche attraverso le sue costruzioni, tentando di trasformare l’essenza barocca in contemporaneo, in varie forme, ragionando sulle dinamiche borrominiane e sulle sostanze classiche, traducendole in frammenti concreti, in dettagli, in architettura.
PAOLO PORTOGHESI E LA GEOARCHITETTURA
Paolo Portoghesi è andato anche oltre, al di là del moderno, per cercare di costruire un rapporto profondo con la terra, con le dinamiche sinuose di quella che lui chiamava “geoarchitettura”: l’ultima visione organica, autentica, rivoluzionaria, che voleva dare nuovo senso al rapporto virtuoso tra l’uomo e il nostro pianeta attraverso le strutture primarie di una natura capace di ispirare l’architettura. Per questo motivo, nella sua casa di Calcata, si soffermava spesso con amici e studenti davanti alla sua vetrinetta. La mostrava con orgoglio, indicando gli oggetti organici che aveva raccolto e che custodiva con cura: da una conchiglia a una pietra, un corallo, una scultura curvilinea o un frammento naturale, una gemma di luce bianca, e così via, per dimostrare che l’architettura veniva dalla terra e da lì si doveva cominciare per costruire nuove forme.
L’ESSENZA DEL PENSIERO DI PAOLO PORTOGHESI
Questo processo doveva passare per una costante sperimentazione fatta di edifici, importanti non solo per le loro qualità estetiche (che possono risultare oggi, in base alle diverse sensibilità dei critici contemporanei, efficaci oppure, in alcuni casi, meno convincenti), ma soprattutto per la loro continua carica sperimentale e storico-operativa. È questa, forse, l’essenza del pensiero portoghesiano: la capacità di ideare attraverso le lenti storiche, prendendo sempre spunto da ciò che di classico è celato nella natura e nel tempo degli uomini, negli esempi che la storia lascia in eredità: da un corallo alla facciata di San Carlino. Una storia in continuo divenire, che assurge a paradigma per creare il nuovo. Dalla Strada Novissima, per la prima Mostra Internazionale di architettura della Biennale di Venezia – che apriva al pubblico il 27 luglio 1980 proprio con il titolo significativo La Presenza del Passato – fino alla costruzione della Moschea di Roma. Dai piani urbani ai progetti di un quartiere di edilizia popolare a Casale di Gregna o al Sistema Direzionale Orientale di Roma, nei quali entravano in gioco anche le sue riflessioni a partire dai maestri del Novecento. Come i ragionamenti sul Motel Agip di Mario Ridolfi, che Portoghesi citava sempre come l’ultimo dei grandi che era riuscito a dare sostanza contemporanea ad alcune dinamiche del Barocco: tutto sembrava essere funzionale all’elaborazione di un pensiero storico operativo, per migliorare il mondo. Ad esempio, la ricerca continua sulla Attualità di Borromini – libro di Portoghesi che nel 2021 ho avuto l’onore di pubblicare come direttore editoriale della casa editrice Architetti Roma edizioni – invita a ragionare su questi concetti, sulle prospettive ampie della storia. A confrontare frammenti e visioni, progetti e approcci linguistici nel tentativo di individuare le vicinanze formali e le differenze compositive, intrecciando una miriade di aspetti estetici e filosofici, addirittura biografici; perché l’architettura è viva, materia pulsante nella vita dei grandi maestri e giunge a noi che possiamo rielaborarla.
PAOLO PORTOGHESI E IL RAPPORTO CON IL PASSATO
Quello di Paolo Portoghesi è stato dunque il fare di un maestro e storico dell’architettura che ha visto all’orizzonte l’eterna sfida per la leggerezza della fabbrica d’architettura, alla ricerca dell’attualità critica della storia. Si tratta di una metodologia che voleva portare alla luce non tanto la classicità ingessata di chi si rivolge al passato per crogiolarsi nella malinconia di un mondo che non esiste più, quanto il “meccanismo borrominiano” che spinge, con forza, a guardarsi indietro per scoprire un nuovo futuro. Così la riscoperta del tempo passato permetteva di intraprendere percorsi nuovi, alla ricerca dell’arcaico, con i contorni ideali della natura che emergevano e diventavano cerniere sempre capaci di trasformare la storia in prefigurazione. Per questo possiamo probabilmente intravedere, intatto, quel legame con Bruno Zevi, interrotto di certo nella vita, ma mai realmente spezzato nella prassi delle riflessioni storiche.
L’attualità del passato, oggi, è quindi comprensione delle dinamiche d’architettura; rappresenta il costante ragionare sullo spazio, andando indietro, cosa che ci spinge a trovare un continuum tra maestri: ad esempio tra Paolo Portoghesi e Luigi Moretti con la sua rivista, che Portoghesi citava spesso. In questa direzione, per Portoghesi era molto importante il numero 7 della rivista Spazio (del dicembre 1952-aprile 1953), con il celebre articolo Strutture e sequenze di spazi. Firmato dallo stesso Moretti, mostrava l’essenza tra pieni e vuoti di alcuni capolavori, descrivendo in modo perfetto i volumi interni attraverso calchi di edifici storici progettati da grandi maestri, come Guarino Guarini, Michelangelo, Palladio, ai quali si poteva guardare per disegnare le forme di un presente che aveva urgente bisogno di nuove chiavi di lettura, per superare il moderno.
FRANCESCO BORROMINI E PAOLO PORTOGHESI
In Francesco Borromini questo slancio vitale – senza tempo, immortale – giungeva per Portoghesi ai massimi livelli, si palesava attraverso segni e nuove spazialità eclettiche. Si concretava nella genialità delle forme naturali della facciata di San Carlino alle Quattro Fontane, come se un fiume fosse passato, impetuoso, lasciando le tracce curvilinee del suo percorso; oppure si concretizzava nella dinamica spiraliforme della lanterna di Sant’Ivo alla Sapienza, in un percorso in cui la forma progettuale era spinta al massimo grado di elasticità, come se Borromini fosse alla ricerca di un perenne punto di rottura: una sorta di “grado zero” (“zeviano”) dell’architettura ante litteram, ispirato alla natura.
Così le invenzioni spaziali e le “geometrie storiche della continuità” – con cui Portoghesi si è sempre confrontato, nell’indagine critica dell’architettura e nell’analisi di frammenti, segni, idee – non sono state per lui solamente analogie formali, ma hanno rappresentato metodologie ricorrenti, materie significanti che attraversavano il tempo. Perciò mischiava incessantemente, nei suoi libri, la sua produzione architettonica con quella dei maestri del passato, proprio per ricucire una sua “storia operativa” fatta di esempi su esempi, immagini su immagini. Per procedere in una ricerca di senso storico, verso una ricostruzione attenta, una rielaborazione. Per trovare infine una sorta di prospettiva eterna nel contemporaneo, un élan vital perduto che aspettava solamente di ritrovare la sua attualità.
PORTOGHESI OLTRE L’ORIZZONTE DEL MODERNO
Portoghesi ha sempre avuto la capacità di costruire connessioni e ponti temporali che passavano da un’epoca all’altra, da un segno all’altro. Da qui nasceva il confronto tra Borromini, Gaudí, Wright, Ridolfi, Moretti e altri maestri, modalità che è diventata il fulcro del suo costante ragionamento per ritrovare quelle tracce capaci ancora di incidere operativamente, in un flusso continuo di dinamiche progettuali che evidenzia oggi – leggendo i suoi capolavori – affinità estetiche e sostanze compositive, un percorso avvincente nell’attualità critica di ciò che è stato.
Da Francesco Borromini a Dopo l’Architettura moderna, da Roma Barocca a Geoarchitettura, fino a Poesia della Curva, i suoi scritti (e le sue riviste) rappresentano una ricchezza culturale di immenso valore; per lui costituivano il fondamento per guardare avanti, oltre l’orizzonte del moderno. Un maestro come Portoghesi lascia questa immensa eredità, da raccogliere e da proiettare nel nostro domani, con il suo sguardo profondo sull’architettura e sulla vita che ritroveremo sempre. La dimensione storica che ha elaborato – attraverso i suoi testi e la sua architettura – supera lo spazio e il tempo da lui tanto sognati e progettati, diventando oggi patrimonio straordinario che sarà letto e analizzato in un futuro remoto.
E ricordando il suo sorriso luminoso, le sue parole, i suoi scritti, forse la lezione più importante di Paolo Portoghesi è questa: dobbiamo sempre imparare dalla terra e dalla natura, dall’essenza organica e da ciò che l’uomo ha già scritto e costruito nel corso del tempo. Perché in fondo, se ci pensiamo bene, tutto è storia. Anche il presente è solo un passaggio verso un’altra dimensione. È il passato che si trasforma.
Marco Maria Sambo
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati