Un sabato pomeriggio a Casa Testori, in compagnia di Mark Rothko. Ce lo raccontano un filosofo, uno storico dell’arte, un attore, un regista e un artista
“La grande arte non riguarda l’arte, ma l’uomo” sostiene Silvano Petrosino, il primo relatore del workshop su Mark Rothko che si è svolto lo scorso 22 settembre a Casa Testori, a Novate Milanese. L’introduzione all’intenso pomeriggio ci catapulta in un serrato ragionamento, secondo cui l’arte sarebbe uno dei luoghi privilegiati dove si manifesta il senso dell’abitare. […]
“La grande arte non riguarda l’arte, ma l’uomo” sostiene Silvano Petrosino, il primo relatore del workshop su Mark Rothko che si è svolto lo scorso 22 settembre a Casa Testori, a Novate Milanese. L’introduzione all’intenso pomeriggio ci catapulta in un serrato ragionamento, secondo cui l’arte sarebbe uno dei luoghi privilegiati dove si manifesta il senso dell’abitare. Mentre caratteristica dell’artista – e di Rothko, in particolare – sarebbe quella di “contenere il dionisiaco”.
L’intervento di Francesco Tedeschi si concentra sulla transizione dalla fase surrealista ai dipinti più noti, tentando di ricondurre la singola figura al contesto dell’arte americana dagli anni Trenta agli anni Sessanta, con riferimenti a Clyfford Still, Barnett Newman, Adolph Gottlieb. Rothko non è, dunque, “un personaggio da mondo dello spettacolo, ma una personalità importante e ammirabile da reinserire nel suo tempo”.
Con la seconda parte si passa dalla teoria all’esperienza: prendono la parola Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, protagonista e regista di “Rosso” di John Logan. Lo spettacolo teatrale mette in scena i due anni in cui Mark Rothko lavorò ai dipinti per il ristorante Four Seasons del Seagram Building di New York e la presentazione è decisamente accattivante. La voglia di godersi lo spettacolo contagia un po’ tutti.
Chiude il pomeriggio l’intervento di Massimo Kaufmann, che giudica il lavoro di Rothko con slancio, ma senza facili indulgenze: “Fino al 1945 le opere sono dei pasticci orrendi”. Citando spesso Monet, Kaufmann definisce le tele di Rothko “piscine per gli occhi” e la sua pittura un “elemento liquido in cui immergersi”. L’artista milanese ricorda come egli avesse “un pessimo carattere, come tutti quelli che hanno un carattere”.
– Marta Cereda
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati