Naessi Studio. Il fascino discreto del buon design
Un universo in accelerazione esponenziale racconta la parabola professionale dei designer romani Naessi, studio creativo multidisciplinare con tantissimi progetti all'attivo. Tre parole per descriverli? Connessioni, trasversalità, consapevolezza. Ma anche passione, ricerca, approfondimento
I Naessi – al secolo Eleonora Carbone e Alessandro d’Angeli, coppia nella vita e nel lavoro – parlano poco ma producono molto. Attivi dal 2020, dividono la loro professione tra product design, consulenze, art direction e progetti speciali. Multitasking? Sicuramente, ma più che altro, amanti dello “scambismo professionale”: i due incarnano, infatti, quell’attitudine contemporanea che fa dell’ibridazione tra discipline e della permeabilità tra recinti creativi la parte più divertente del fare design. Il rischio, altrimenti, sarebbe quello di annoiarsi subito (parola loro). Architetto lei, designer lui, insieme hanno dato vita a una realtà fluida, dinamica, capace di muoversi con grazia tra progetti di natura diversissima, esplorando le poetiche di oggetti, idee e spazi con un approccio ibrido basato sulle connessioni trasversali. Del resto, lo dice anche il nome che si sono scelti. Qualche esempio? Il loro lavoro spazia dai planner agli alambicchi in vetro, dalle borse ai negozi pop up, dalle consulenze di immagine alle sedute. Eleonora ed Alessandro ci accolgono nella loro casa-studio-showroom, nel quartiere San Giovanni, a Roma. Un luogo in cui periodicamente vengono organizzate, in collaborazione con Marigold (brand per il quale hanno anche “progettato” un caffè), vivacissime colazioni tra designer, fotografi, creativi e addetti al settore. Perché fare rete e stringere collaborazioni inaspettate, meglio se davanti ad uno specialty coffee, qui sembra essere l’unico modo per resistere.
Naessi, raccontateci, come è iniziato tutto?
Ci siamo incontrati alcuni anni fa da Devoto Design, dove io (Eleonora, ndr) ho lavorato per dieci anni dopo la laurea e dove Alessandro era stato assunto per ricoprire un ruolo non progettuale ma commerciale, a discapito della sua formazione da designer. Siamo rimasti lì insieme ancora tre anni, poi abbiamo deciso di licenziarci e dare vita a Naessi Studio.
Vi definite multidisciplinari. Di cosa vi occupate esattamente?
Abbiamo concepito Naessi Studio come un contenitore aperto, una scelta che ci consente di fare esclusivamente quello che ci piace. Proviamo, cioè, a sviluppare solo i progetti che riteniamo necessari, quelli che aggiungono qualcosa o sono fatti per persone e brand che stimiamo. Siamo convinti, infatti, che un pensiero dotato di senso possa prendere corpo in qualsiasi ambito, e che il prodotto sia solo uno dei suoi possibili output. In alcuni casi siamo designer, in altri art director: due lavori differenti nell’approccio, seppur complementari.
Il binomio Roma + Design è notoriamente difficile. Eppure voi avete scelto di continuare a vivere qui e sembrate dimostrare il contrario: qual è la formula per riuscirci?
Per essere designer e romani, noi siamo molto, molto professionali (sorridono), nel senso che provenendo da una realtà aziendale strutturata abbiamo acquisito una forma mentis organizzata. Non sempre chi fa il libero professionista in ambito creativo possiede questa skill, e chi non ce l’ha rischia di perdersi. La nostra è stata una gavetta utilissima che ci ha consentito di conoscere tante facce della stessa medaglia, dalla progettazione alla produzione, dalla gestione del cliente ai fornitori. Stiamo comunque lavorando per smentire definitivamente l’assioma secondo cui fare design in questa città sarebbe un’utopia.
Ammettiamolo, la vostra fama è in rapida crescita e i progetti dell’ultimo anno sono stati tantissimi. Parliamo dei più rappresentativi?
È stato un anno intenso, sì, ricco di soddisfazioni. Un giro di boa alla chiusura del nostro primo triennio di vita. Tra i progetti recenti che sicuramente dobbiamo citare c’è NEXUM, il tavolo realizzato grazie alla collaborazione con Claudia Pignatale di Secondome Gallery e la falegnameria torinese Studio F per La stanza delle Necessità, una collettiva allestita in occasione dell’ultima Milano Design Week da Rossana Orlandi. Era previsto che rimanesse in galleria solo durante il Salone, invece è esposto, e lo sarà per tutta l’estate, alla Rossana Orlandi Summer Gallery a Porto Cervo. Poi, abbiamo realizzato diversi layout allestitivi per il brand di make up italiano Espressoh, per esempio “Espressoh to go”, un concept box posizionato al foyer arrivi della Stazione Centrale di Milano durante la design week. Tutto in alluminio, è leggero, facile da smontare e trasportare, funzionale.
…e adesso sbarcate anche oltreoceano, in una galleria a New York!
Che emozione! Studiotwentyseven, la galleria che ci rappresenta, entro fine giugno aprirà la sua nuova sede newyorkese dove saranno esposti due pezzi della collezione di sedute UNDATED, presentata per la prima volta al Lake Como Design Festival la scorsa estate. Si tratta di sedute in legno massello di cedro concepite come un’azione scultorea neoclassica accolta nel contemporaneo: un re-design del passato che viene sollevato dal peso delle esigenze formali e immaginato con una resa evocativa e imperfetta. II contrasto tra “tempestas” e “tranquillitas” (citando il pensiero sull’arte di Winckelmann) ha generato un volume statico e visibilmente pesante, una forma bold dall’aspetto rassicurante e massiccio, la cui finitura è data dal fuoco, con la tecnica giapponese dello Shou Sugi Ban che consiste nel carbonizzare con una fiamma la superficie del legno per renderlo più resistente agli agenti atmosferici, all’attacco dei parassiti, all’acqua e al fuoco stesso.
E il vostro progetto dei sogni qual è, da qui ai prossimi anni?
Curare una mostra! E riuscire a farne una personale, ma non di design. Lo ammettiamo: andiamo in controtendenza rispetto allo specializzarsi e all’essere verticali. A noi piace spaziare, contaminarci, lavorare sul tema della frammentazione. Non fare prodotti best seller ma raccontare un percorso, anche intellettuale. Hai presente Baricco quando in Barbari. Saggio sulla mutazione dice che prima eravamo palombari della cultura e ora siamo tutti snorkeler?
Giulia Mura
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