È la creatività vecchio stile degli amici immaginari, dei giochi di stravolgimenti della realtà senza l’aiuto degli effetti speciali; della sensazione di essere troppo piccoli o troppo grandi in spazi che sembravano troppo vicini o troppo lontani. Tutto era possibile nelle sane fantasie dell’infanzia. Ed è la magia del “tutto è possibile” che la mostra Amigos Imaginarios, alla Fondazione Joan Mirò di Barcellona, vuole rievocare, riportandoci nelle dimensioni di grande fascinazione, paura e avventura che animano la vita dei bambini.
LA MOSTRA ALLA FONDAZIONE JOAN MIRÒ
We are the baby gang (2019), di Paola Pivi (Milano, 1971) inaugura il viaggio. La gang è una cricca di cuccioli di orsi polari congelati in pose acrobatiche sugli anelli, sopra le altalene o che si rotolano a terra, si sdraiano, giocano. Creazioni che, nonostante l’innaturalezza dei colori acidi e la consistenza visibilmente sintetica dei materiali, conferiscono quel senso familiare e caldo dei peluche. I vecchi – più o meno – affidabili accompagnatori dei sogni che di punto in bianco, superati i dieci anni, sono spariti nei garage, insieme a tanti altri amici immaginari.
Qualche sala più in là, nell’installazione di Polly Apfelbaum (Abington, 1955), The potential of women (2017), ritornano alla mente i pomeriggi interminabili passati a guardarsi allo specchio e a giocare con le proprie forme in cambiamento. La sala, pensata e progettata come uno spazio per sdraiarsi sul pavimento a disegnare, presenta alle pareti l’Album 13 di Joan Mirò (Barcellona, 1893 – Palma de Maiorca, 1983) – una collezione di disegni e bozze dei personaggi più famosi dell’artista catalano – mentre a terra ci sono quattro opere di tappezzeria che rappresentano il volto per metà rosa e l’altra arancione di una bambola con la faccia larga, gli occhi che sono due pallini neri e una bocca che non c’è. È il volto di una bambina che diventa donna? Osservata da tutti quei personaggi che l’hanno accompagnata verso un traguardo che sembrava irraggiungibile e poi invece è arrivato?
GLI AMICI IMMAGINARI E IL POTERE DELL’IMMAGINAZIONE
Democracy Game (1999) di Meschac Gaba (Cotonou, 1961) è invece un gioco di concentrazione. Si compone di sei banchi di legno, ognuno dei quali ha dei pannelli che si possono mettere in ordine e/o in disordine per ricreare e/o distruggere le sei bandiere che rappresentano. Uno scorrere simbolico che replica il crudele fare e disfare a tavolino di un continente maneggiato e rimaneggiato dal grande bambino d’Occidente.
Così come i tappeti di Polly Apfelbaum si possono vivere e interpretare a più livelli – da quello psicologico di una bambina che fa i conti con la sua immagine che cambia, a quello di un disteso, spensierato scorrere del tempo passato a disegnare su un tappeto – anche il lavoro di Gaba passa dalla denuncia della colonizzazione alla proposta di uno spazio per far muovere le mani, spingendo senza senso né direzioni dei pannelli colorati su superfici che li fanno scivolare. Altrettanto inquietante nell’oscillazione tra crudeltà e innocenza, umanità e cinismo è Tails tell Tales (2022) di Afra Eisma (Olanda, 1993): in parte creata appositamente per la mostra, l’installazione si compone di creature di pezza dalle forme antropomorfe, con braccia che si allungano come serpenti, mani guantate gigantesche e gambe che sono come code racchiuse in scarpette di ceramica di fattura settecentesca. L’opera, pensata come una installazione cui i visitatori potevano avvicinarsi, per giocarci e conversare con i propri “amici immaginari”, a causa di problemi di conservazione, ha dovuto essere transennata. L’effetto non è lo stesso. Ma se uno dei messaggi dell’esposizione è l’invito a risintonizzarci con il potere dell’immaginazione, non si può ricominciare proprio dalle conversazioni mancate con i personaggi di Afra Eisma?
Maria Pia Masella
Barcellona // fino all’11 settembre 2023
Amigos imaginarios
FUNDACIÓ JOAN MIRÓ
Parc de Montjuïc
https://www.fmirobcn.org/
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