Gli angeli della storia. Al Castello di Rivoli
Sette artisti per raccontare parte della storia del Novecento. Quella che non hanno vissuto. In occasione della rentrée, una serie di installazioni, sculture, foto e video diventa testimonianza indiretta di alcune controverse vicissitudini che hanno travolto l’Italia nel secolo scorso. Eventi, spesso tragici, che ancora dividono l’opinione pubblica e su cui ci si continua a interrogare. Fino al 18 novembre, a Rivoli.
Senza alcuna velleità programmatica nel determinare una tendenza artistica, La storia che non ho vissuto si pone come occasione per riflettere sul perché, soprattutto negli ultimi anni, molti artisti abbiano indagato precisi avvenimenti della storia italiana del secolo scorso. Gli artisti in mostra, nati tutti dopo il ‘67, non hanno infatti vissuto personalmente le vicende di cui narrano e raccontano. Sono così testimoni indiretti di un passato che ha ancora bisogno di riletture e interpretazioni.
V’è effettivamente da chiedersi perché questi “spiriti celesti” – così descritti dalla curatrice in riferimento alla figura dell’Angelo della storia caro a Walter Benjamin (creatura che, per quanto spinta verso il futuro, non prescinde da un prima) – si interessino al passato. Nell’esposizione – tra gli artisti ben rappresentati dalle rispettive gallerie (sostenitrici delle produzioni date le ristrettezze economiche istituzionali) e coloro strategicamente posizionati nel panorama nazionale (ma assenti all’appello risultano artisti come Elisabetta Benassi, Giorgio Andreotta Calò e tanti altri ancora) – emerge quindi un interesse generale per la storia a partire dall’inafferrabilità della memoria. Indagando lo scarto di quella storia cosiddetta “maestra di vita” per la quale, però, poi gli errori si ripetono ciclicamente.
Patrizio di Massimo pone una certa distanza rispetto ai documenti ufficiali per raccontare una storia parallela generata da scollamenti e fatti che, per quanto reali, sono considerati marginali. Nella stessa stanza si sovrappongono (al punto da risultare impercettibili singolarmente a causa della contaminazione dei mezzi impiegati e per l’eccessiva luce) Fuga dal disordine (Vogue Ed.), video-documentazione di una performance realizzata a Villa Necchi in cui un attore conduceva una visita guidata intrecciando suggestioni dell’ideologia fascista e del modernismo, e Il Negus ha detto “Datemi il leone, tenetevi la stele”, lavoro sull’occupazione italiana dell’Etiopia. “Mise en espace” impraticabile – e che sminuisce irrimediabilmente la forza propria delle installazioni – è anche quella riservata a Flavio Favelli ed Eva Frapiccini. Come due sposi separati in casa, le loro opere si ostacolano vicendevolmente nella stessa sala. La serie fotografica Muri di Piombo di Frapiccini è la narrazione, attraverso immagini e parole, di luoghi in cui sono stati commessi crimini per mano delle bande armate terroriste, luoghi che – per chi non li ha vissuti – possono sembrare spazi qualsiasi, anonimi. Gli scorci delle vie in cui si sono susseguiti quegli eventi drammatici sono oggi rivisitati dall’occhio dell’artista, ma con le testimonianze minuziose della cronaca del tempo. Di Muri di piombo non è però possibile avere una visione di tutti gli elementi a 360 gradi. Cerimonia (India Hotel 870) di Favelli è infatti proprio lì, al centro. Distesa nella sala, la sagoma in tela che ricalca le misure del DC9 della tragedia di Ustica costituisce una sorta di abito da cerimonia, una coperta poetica pensata per coprire l’aeroplano dell’Itavia appena uscito dalla fabbrica. Come se la tragedia area non fosse mai successa.
Mentre il lavoro di goldiechiari appare rarefatto e carico di citazioni (tra alberi che rappresentano sorte di genealogie familiar-politiche e collage tanto accademici quanto elementari), estremamente sottile è invece il lavoro di Francesco Arena. Privati della retorica, per Arena i fatti della storia diventano sequenze di misure a cui dare forma. In 18.900 metri (La strada di Pinelli), su 3.322 lastre di ardesia l’artista materializza l’ultimo cammino percorso dal ferroviere anarchico Pinelli, vittima anch’egli della strage di Piazza Fontana. Intorno alla comunicazione e alla propaganda sono invece gli interventi di Rossella Biscotti. Must immancabile in questa cornice, l’artista presenta la cinematografia è l’arma più forte, proiezione cinematografica della scritta omonima che indaga il fascismo e le sue politiche culturali attraverso l’uso di slogan, e Gli anarchici non archiviano, installazione costituita da cinque tavoli in metallo con blocchi di caratteri tipografici pronti per accogliere l’inchiostro. Sacrificato negli spazi comuni è infine Seb Patane. Mentre in un angolo trova posto l’installazione sonora Violenza d’avanguardia, un crescendo di suoni sul senso dell’utopia ed espressione dei Circoli di Lotta Continua, nel disimpegno di fronte alla scala è allestita Kollapsing New People, assemblaggio di barre di ferro e legno che ricorda i resti di un’impalcatura a seguito dei disordini di Via Larga a Milano nel 1969.
Se le scelte allestitive compromettono le opere, i lavori in mostra chiariscono in ogni caso come nella ricostruzione della storia non vi sia un solo punto di vista. Sono infatti molteplici le interpretazioni. E, a scapito dell’obiettività, i diversi sguardi spostano costantemente il confine tra racconto personale e memoria collettiva. Nel diluirsi del tempo.
Claudio Cravero
Rivoli // fino al 18 novembre 2012
La storia che non ho vissuto (Testimone indiretto)
a cura di Marcella Beccaria
CASTELLO DI RIVOLI
Piazza Mafalda di Savoia
011 9565280
www.castellodirivoli.org
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