Trasumanar e… disorganizzar
Lui ha una faccia un po’ così, che definire italiana è troppo poco, essendo un incrocio perfetto tra un mestissimo Pulcinella e un disilluso Edoardo de Filippo. Lui è l’avvocato Gerardo Marotta, il fondatore dell’Istituto Italiano di Studi Filosofici. Storia di un Paese dove nulla cambia.
Lui è il ritratto della napoletanità più tipica, mentre, gli occhiali calati a mezz’asta sul naso e una magliettina bianca che spunta dai risvolti di quella che a tutti gli effetti sembra la giacca di un pigiama, racconta di libri in sfratto, di Premi Nobel, di cultura e di controrivoluzione – e alle sue spalle, sordi a tutto come dei moderni monatti, operai in calzoncini kaki e guanti da lavoro si palleggiano casse di cartone con su scarabocchiato “B. Croce” e “G. Bruno”.
Lui è l’avvocato Gerardo Marotta, il fondatore dell’Istituto Italiano di Studi Filosofici, i libri sono quelli dell’Istituto medesimo, che vengono sfrattati dalla vecchia sede per impossibilità di pagare l’affitto, e il video di tutto questo (a me lo ha segnalato l’artista Leonardo Pivi) lo potete vedere sulla web-tv de Il Fatto Quotidiano: è delicato e insieme sconcertante. Anche se non l’ha fatto un artista, è bello lo stesso.
È un po’ la solita storia all’italiana: un istituto indipendente che negli anni è riuscito a portare in Italia figure fondamentali come Gadamer e Ricoeur, Prygogine e Derrida, è costretto a smobilitare per mancanza di fondi, e il suo fondatore, invece di essere tenuto in grande considerazione dagli intellettuali nostrani, osannato dai media e rispettato dalla politica, viene considerato poco più che un eccentrico, un hobbista invecchiato, uno quasi da compatire.
E persino i commenti sulla nostra decadenza culturale sono prevedibili: chiunque abbia visitato una biblioteca in Francia, in Gran Bretagna o in Germania – non dico la Bodleyan Library di Oxford o la BNF di Parigi, ma anche solo una modesta biblioteca di provincia – sa quale rispetto i cittadini di quelle nazioni portino per la cultura in tutte le sue forme, e per quella libraria in particolare, e quanto quei luoghi siano non il refugium peccatorum di qualche studente svogliato o di sfaccendati fuoricorso, ma aree “normali” di informazione, forum civici di dibattito e spesso anche aree di intrattenimento.
Ma il punto è proprio questo. Se già sappiamo fatti e misfatti, antefatti e conseguenze, com’è che in Italia la musica non cambia mai? La cosa più agghiacciante infatti non è nemmeno l’episodio in sé, ma le reazione che ha generato: in Rete, ben nascosto dietro il furbo nickname, qualche genio già si chiede a cosa serve la filosofia e (improvvisatosi paladino delle finanze pubbliche), insinua se è il caso di spendere soldi per un istituto che invita gente dai nomi incomprensibili, definendo Marotta un “visionario” e un “illuso”. Nel frattempo i media ignorano l’evento, oppure si preparano a qualche lucrosa speculazione giornalistica – mentre i politici si sbracciano in promesse roboanti, anche se (sublime sottigliezza, questa davvero italianissima) ognuno tiene a precisare che la cosa “non è di sua competenza”: il Comune rimanda alla Regione, la Regione all’Associazione Italiana Biblioteche, quest’ultima si rivolge al Governo, il quale cede le armi e fa appello al Capo dello Stato… che, indignato, richiama con fermezza alle “responsabilità locali”. Bingo!
P.S.: Poco dopo aver scritto queste righe, il ministro Ornaghi ha promesso di attivarsi per salvare la biblioteca dell’Istituto. Tutto bene? No. Continuiamo a vivere in un Paese dove, per ottenere il minimo riconoscimento, bisogna appendersi a una gru, incatenarsi a una cancellata, darsi fuoco… o passare a miglior vita. Come mi ha detto un amico, in Italia solo “chi muore si rivede”.
Marco Senaldi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #9
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