Antigone, contro l’accanimento terapeutico
Dal classico di Sofocle alle riletture degni Anni Quaranta proposte da Jean Anouilh e Bertolt Brecht. Ora Valeria Parrella – dopo aver portato a teatro Clitennestra – “osa” una riscrittura della celebre eroina. Mettendoci dentro la discussione sull'eutanasia.
All’Antigone di Sofocle, l’eroina greca figlia del rapporto incestuoso degli sventurati Edipo e Giocasta, si accostarono Jean Anouilh (1942), e, ancora, Bertolt Brecht (1947). Due variazioni cruciali sul mito. Nel primo caso emergeva una dimensione politica giocata nella dicotomia ribellione ideale/ragion di stato. Nel secondo, tra resistenza ed emancipazione/repressione imperialistica. Ora Valeria Parrella – dopo aver portato a teatro Clitennestra – “osa” una riscrittura della celebre eroina sofoclea. Entra nelle nervature della classicità e immette questa figura controversa, con sensibilità contemporanea, nei dilemmi della bioetica (tema riportato alla ribalta nel recente film Bella addormentata di Marco Bellocchio).
La sua Antigone è tenera e beffeggiatrice, umanissima e sfrontata. Dà pace al fratello Polinice non più seppellendolo e andando contro il divieto del re e zio Creonte, ma staccandogli il respiratore che lo ha tenuto artificialmente in vita per accanimento terapeutico. Così l’autrice napoletana ridisegna Antigone, calandola nei nostri tempi. E, vestita di rosso, cala dall’alto per infine ascendervi, Gaia Aprea, interprete di questa versione nella intensa regia di Luca De Fusco in scena al Teatro Mercadante di Napoli.
Scritto su commissione del Napoli Teatro Festival Italia, il testo di Parrella fa ruotare la storia intorno al tema dell’eutanasia, del conflitto tra coscienza e norma, tra legge dell’uomo e legge della natura, e trascina nel dibattito etico il discorso sul libero arbitrio. Non prende posizione l’autrice, ed è giusto dato lo spinoso argomento che divide le coscienze, lasciando spazio alla riflessione personale di ciascuno. Mantenendo la struttura epica, l’autrice v’inserisce alcuni personaggi, tra cui una detenuta che condivide la cella da sepolta viva con Antigone (un antro con un altissimo letto a castello a più piani). Il tiranno Creonte diventa un Legislatore, e il Coro è sostituito da due solitari corifei, due cittadini senza voce in capitolo che osservano e commentano.
La scrittrice usa i registri alti della tragedia mescolati a quelli dell’attualità con grande efficacia. Versi che risuonano ancora più potenti nella scatola nera – la scena è di Maurizio Balò – pensata da De Fusco dentro cui, accompagnata da una musica evocatrice sospesa tra forza arcaica e forza del presente, appaiono, come fantasmi scolpiti nel buio e fuori dal tempo, i personaggi della tragedia. Questi, ingigantiti in primissimi piani proiettati su schermi trasparenti sull’intero boccascena, dialogano senza mai guardarsi, limitando i loro movimenti e le azioni intervallate da proiezioni di frasi significative del testo.
I personaggi sono mondi lontani, quasi puri concetti che si esprimono solo con le parole. Ed è appropriata l’interpretazione di Gaia Aprea nel combattivo e doloroso ruolo della protagonista specie nel duro e inappellabile confronto con Creonte, durante il quale, entrambi espongono le proprie motivazioni. Tra il resto dei validi interpreti da ricordare il vibrante Tiresia di Antonio Casagrande.
Giuseppe Distefano
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