Non conoscete Marino Auriti? Eppure è lui a dare a Massimiliano Gioni il titolo per la sua Biennale di Venezia, “Il Palazzo Enciclopedico”. Qui vi raccontiamo tutto…
Si chiamerà Il Palazzo Enciclopedico la Biennale di Venezia di Massimiliano Gioni, e si inaugurerà il 29 maggio con una preview per stampa e operatori del settore che andrà avanti fino al 31, con un opening ufficiale datato 1 giugno. A dare l’appuntamento sono il Presidente, Paolo Baratta e il neo direttore artistico, in un […]
Si chiamerà Il Palazzo Enciclopedico la Biennale di Venezia di Massimiliano Gioni, e si inaugurerà il 29 maggio con una preview per stampa e operatori del settore che andrà avanti fino al 31, con un opening ufficiale datato 1 giugno. A dare l’appuntamento sono il Presidente, Paolo Baratta e il neo direttore artistico, in un “two men show” che lascia in piedi anche i giornalisti nella splendida sede di Ca’ Giustinian. Molti, moltissimi gli intervenuti, molte le domande. Ma Gioni non si sbilancia sui nomi degli artisti, né sui particolari più specifici che riguarderanno la sua mostra. L’obiettivo oggi è parlare del tema. Il punto di partenza sono, infatti, i brevetti per un Palazzo Enciclopedico (da cui il titolo della 55. edizione) firmati dall’artista italo americano autodidatta Marino Auriti, depositati nel 1955 e pensati per costruire una sorta di museo immaginario che racchiuda in sé tutto lo scibile umano.
Questo progetto per una cultura totale e universale non appartiene unicamente ad Auriti, ma si inscrive in una lunga tradizione che oggi, nell’epoca dell’informazione a tutti i costi, della connessione sempre e comunque, di quello che Baratta ha definito “uno sfarinamento del tempo”, assume un significato ancora più importante, tornando a sottolineare la necessità di spazi immaginari, di relazioni interpersonali, di una conoscenza non sempre a disposizione, ma che, anzi costa fatica, per dirla ancora con le parole del Presidente. Quest’ultimo, infatti, definisce Il Palazzo Enciclopedico un “messaggio alle nuove generazioni, per non cadere nella trappola della comunicazione”. E quando sopraggiunge un paragone con Documenta, Gioni non ha dubbi: mentre Carolyn Christov – Bakargiev ha cercato la dispersione, la ricerca di un filo conduttore da parte dello spettatore all’interno del percorso espositivo, per il curatore, pur condividendo alcuni artisti con la collega, lo scopo sarà la coesione del tema.
Ciononostante dei punti di contatto ci saranno, ad esempio nella scelta di affiancare alle opere di artisti storici e strettamente contemporanei, “reperti storici, oggetti trovati e artefatti”. Una nota importante spetta, inoltre, ai Padiglioni Nazionali, oggi invitati a partecipare ad un summit a porte chiuse, con ben otto new entry provenienti dal Bahrein, le Bahamas, il Kosovo, il Kuwait, le Maldive, la Costa d’Avorio, la Nigeria, il Paraguay, la Santa Sede. Una nota si spende per il Padiglione Tedesco alla Biennale, che presenterà, in una descrizione complessa della propria identità culturale, cinque artisti con cinque nazionalità differenti.
– Santa Nastro
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