Quando si parla del Guernica, si pensa a uno dei paradigmi dell’arte del XX secolo, ovvero la forza del simbolo rivendicato da posizioni politiche diametralmente opposte, e la sua capacità di generare interpretazioni e usi spesso contrastanti.
Molti ricorderanno quando, nel 2003, la riproduzione del Guernica che orna la sala del Consiglio di Sicurezza dell’Onu venne coperta durante la conferenza stampa dove Colin Powell annunciava l’invasione dell’Iraq. Ne sapeva qualcosa Antonio Saura, che a pochi mesi dal ritorno del Guernica in Spagna, nel 1981, pubblicò Contra el Guernica, una delle opere che meglio riassume gli effetti dalla convulsa storia del dipinto. Una grande stangata al connubio arte-burocrazia con la quale Saura tentava di salvare Pablo Picasso dai suoi stessi ammiratori, e l’opera dalla forza del simbolo in cui si era convertita.
In effetti, Picasso non fu mai chiaro sul messaggio ideologico del dipinto, ma essendo stato commissionato per la causa del Governo Repubblicano ed essendosi l’artista associato al Partito Comunista, fu impossibile evitare una lettura di matrice comunista-anarchica. La donazione al MoMA di New York, simbolo della nascente cultura capitalista dell’epoca, provvide a mettere in secondo piano le tracce di una qualunque posizione politica, esaltando piuttosto la metafora contro la violenza super partes.
Anche il generale Franco lottò per la riavere il dipinto in Spagna, ma Guernica tornò solo a dittatura terminata, nel 1981. Nel 1997 il quadro tornò a irradiare la sua potente carica simbolica: il malcontento e le tensioni generate dal diniego di prestare il quadro per l’inaugurazione del Guggenheim di Bilbao si caricarono di forti tensioni politiche e nazionalistiche, essendo il popolo basco il principale coinvolto nel bombardamento del 1937.
In occasione dei 75 anni dalla creazione del Guernica, il Reina Sofia di Madrid ha deciso di omaggiare il dipinto con la retrospettiva Incontro con gli anni ‘30. Addentrandosi nel retroterra culturale in cui si generò Guernica, la mostra ricalca un terreno dove la sperimentazione delle prime avanguardie, le tensioni politiche e la potenza dei primi mezzi di comunicazione di massa si incontravano e si scontravano per generare messaggi ad alto contenuto simbolico e propagandistico.
Partendo dalla premessa che l’arte non è da leggersi in termini di chi partecipa o non partecipa in politica, Jordana Mendelson, una delle curatrici della mostra, ha dichiarato: “Gli Anni Trenta hanno molto a che vedere con quello che accade oggi. Chi difende la poesia adotta anche una posizione politica”. La mostra è stata presentata dal direttore del Reina Sofia, Manuel Borja-Villel, come un’ingegnosa rilettura mediata dal parallelismo tra la crisi odierna e quella dei Trenta, e dall’uso di quegli anni come possibile modello attuale. Viene da chiedersi fino a che punto il museo detentore di un’opera-simbolo dotata di tale carica al consumo, tra l’altro decretata imprestabile, abbia offerto un’ingegnosa rilettura o abbia colto quest’anniversario per una mostra dal successo assicurato.
Dopotutto e per fortuna, Guernica continua a essere per tutti l’opera che racchiude la più grande dichiarazione contro la guerra della storia dell’arte.
Enrichetta Cardinale Ciccotti
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