Trent’anni (di carriera) e non sentirli. A certificare tre decenni di attività sono tuttavia i numerosi progetti che Ludovica Serafini (Roma, 1961)e Roberto Palomba (Cagliari, 1963) hanno realizzato collaborando con importanti realtà dell’interior design, come Zanotta e Kartell. Nasce appena dopo il debutto – sancito nel 1994 dalla fondazione della Palomba Serafini Associati – la celebre lampada a soffitto Dom (1997), pensata per Foscarini. E poi hotel, padiglioni museali come il Tamajo Design Museum a Città del Messico, appartamenti (niente spoiler, ma se avete la fortuna di avere una casa progettata da loro non vendetela, perché gli architetti non ci dormirebbero la notte, se venissero a saperlo), a breve uno yacht e il recente progetto Stua in vetro di murano – caratterizzato da “un’anima liquida” – per l’azienda Purho. Protagonisti, ancora una volta, anche all’ultimo Salone del Mobile di Milano, i due designer si raccontano, tra ricordi e progetti futuri.
Intervista ai designer Ludovica Serafini e Roberto Palomba
Un dettaglio del vostro primo incontro che non dimenticate?
R: Ricordo perfettamente che lei mi trovò molto antipatico, quando mi conobbe la prima volta.
L: Roma. Primavera. Università di Architettura. Arrivo in un vestito rosso, colore inconsueto per me: mi ricordo ancora il suo sguardo.
Quanto è rilevante nel vostro lavoro il dettaglio?
R: Se arriva dopo aver risolto la visione in generale, è importantissimo. Non si parte mai dal dettaglio, però!
L: La forma è spazio e, a sua volta, lo spazio è un contenitore di molecole. Nell’insieme si trova tutto, dalle dimensioni più piccole alle più grandi, e sia il dettaglio che l’insieme sono fondamentali. È essenziale comprendere come tutti questi dettagli si aggregano insieme.
Architettura, interior design… Cambia il vostro modus operandi?
R: Assolutamente no! Ci troviamo perfettamente d’accordo con lo slogan di Rogers, “dal cucchiaio alla città”.
L: La testa del progettista è sempre la stessa, quando disegni un oggetto o uno spazio, che sia una strada o una sedia, quando poti una pianta in giardino: la visione è sempre la stessa.
Anche dopo trent’anni di carriera che, se non erro, festeggiate proprio quest’anno?
R: La nostra visione progettuale, che si parli di architettura o di prodotto, è rimasta fedele.
L: È sempre stata così perché la nostra testa è impostata così!
I progetti dello studio Palomba Serafini Associati
Una collezione, prodotto o progetto che secondo voi definisce il vostro percorso sin dall’apertura dello studio nel 1994?
R: Sono tutti figli nostri, non sono mai riuscito a sceglierne uno.
L: Racconto un aneddoto: un amico per il quale abbiamo realizzato un bellissimo interior, mi chiama e mi parla della sua intenzione di vendere l’immobile. Io al solo pensiero non ho dormito per alcuni giorni. Questo per dire che ogni progetto che facciamo è un pezzo di noi.
Per alcuni importanti brand, penso a Kartell o Poltrona Frau, progettate da molto: come si è evoluto il rapporto?
R: Il sodalizio parte dal consolidamento di una fiducia strutturata negli anni, da una condivisione e da una profonda conoscenza. C’è sempre una grande collaborazione, una sorta di rapporto biunivoco, tra realtà che si conoscono molto bene e che si divertono e si stimolano, scambiando energie. Arrivato alla soglia dei 60 anni vorrei lavorare sempre di più con realtà che mi piacciono e con cui condivido un modus operandi.
L: Si è evoluto molto ed è maturato. Le aziende sono fatte di persone che naturalmente si evolvono come noi nel tempo. Quello che rimane intatto è il desiderio di progettare ad alto livello, ad alta qualità, a basso impatto ambientale, mettendo qualità, eleganza e ricerca al primo posto.
Il presente, invece, in cosa vi vede coinvolti?
R: Tanta architettura, tra alberghi e case private, l’interior di un mega yatch, e poi tanto prodotto per la casa e per alberghi; non manca un pizzico di moda.
L: Gioiosamente in moltissime architetture, sia private che legate all’hospitality.
Ci raccontate di Stua?
R: Un sogno di laguna realizzato in vetro di Murano per l’azienda Purho. Un semplice gesto per raccontare un oggetto apparentemente fatuo che rende felice chi lo possiede.
L: Il vetro di Murano quando è fuso ha un’anima liquida, ma anche quando si solidifica mantiene in sé questa magia. Una magia che caratterizza tutti i nostri progetti realizzati con il vetro. Anche la collezione Laguna mantiene questo aspetto, le dimensioni il colore e le lavorazioni sono eccezionali, ma soprattutto uniche.
Ludovica, in un’intervista del 2021 dici che l’architettura “è statica, legata a un contesto, ma vibrante dei racconti che è destinata ad accogliere”: un luogo che vi racconta?
R: Sicuramente la nostra dimora salentina di Sogliano Cavour, perché è fatta sia di presente che di passato, è stata costruita e strutturata negli anni, rappresenta la semplicità della modernità che si sposa con la semplicità della storia, dove non c’è nessuna voglia di decorare ma solo quella di abitare. In qualche modo ci rappresenta.
L: Penso alla piccola casa di Roma, un gioiello di architettura che riflette il nostro amore per le soluzioni creative e funzionali anche in spazi limitati. Penso al frantoio di Sogliano Cavour, dove abbiamo dato nuova vita a un edificio storico trasformandolo in un luogo contemporaneo e sostenibile. Penso all’hospitality di Palazzo Daniele, un progetto che ci ha portato numerosi premi e che rappresenta il connubio perfetto tra eleganza e autenticità. Penso anche al nostro studio a Milano, un ambiente dinamico e ispirante in cui le idee prendono forma e si trasformano in realtà. Quale spazio ci rappresenta? Per noi, l’architettura è come un vestito: ci sono giorni in cui siamo affascinati da un particolare colore, in altri preferiamo virare verso nuove tonalità. Tuttavia, il nostro approccio è sempre riconoscibile, come una firma distintiva che si manifesta in tutte le nostre architetture, che incarnano filosofia e dedizione all’innovazione, alla sostenibilità e all’estetica senza tempo.
Trent’anni, tempo di bilanci o no?
R: Chi ha tempo di fare bilanci? Noi abbiamo molto ancora da fare e da dare.
L: 30 anni? Di già?
Ilaria Introzzi
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