Quasi venti anni dopo l’adesione all’Unione Europea, la Lettonia si presenta come un Paese culturalmente complesso: crocevia di influenze teutoniche, svedesi, polacco-lituane e russe, ha comunque prodotto una ricca cultura nazionale. Riga, l’elegante capitale ricca d’arte e di storia, è lo specchio di una nazione dove la storia si è stratificata. Il passato epico, al limite del leggendario, della città di Riga rivive ancora oggi nelle sue architetture più antiche di chiara impronta teutonica che, nella severità delle linee geometriche, riflettono una concezione sacerdotale del dovere e dell’onore.
Storia della città di Riga in Lettonia
Riga nacque nel 1201 nel corso della crociata bandita dal Vescovo Albrecht von Buxthoeven per evangelizzare la Livonia all’epoca ancora pagana. Il vescovo tedesco si avvalse della milizia dei Cavalieri Portaspada, e sotto l’influenza tedesca entrò nella Lega Anseatica, acquistando in pochi decenni, nonostante le ridotte dimensioni, la fama di attivo porto commerciale fra la Russia e l’Europa. La Città Vecchia è il cuore di questo passato (ma non solo di questo), e fra le testimonianze più eclatanti, il palazzo della Piccola Gilda dei Mercanti (per i celibi, mentre la Grande Gilda era riservata ai mercanti sposati) edificato nel 1334 ma ricostruito nel 1999 dopo le distruzioni della Seconda Guerra Mondiale; quello che vediamo oggi è un palazzo medievale costruito secondo i canoni tedeschi, poi arricchito a fine ’500 con elementi decorativi tipici del tardo manierismo olandese. Oggi visitabile, rievoca i tempi in cui era uno degli edifici più rappresentativi della città, nota come Casa delle Teste Nere a causa della statua di San Maurizio (patrono dei soldati) dalla testa di moro che troneggia all’ingresso. La presenza del santo si spiega con il fatto che questi mercanti, in tempo di guerra, dovevano concorrere alla difesa della città. Se delle antiche mura anseatiche rimane oggi soltanto un breve tratto, e delle 29 torri ne sopravvive una (la Torre delle Polveri, ospita l’interessante Museo della Guerra), è però ancora in piedi l’edificio che fu la cappella dei Cavalieri Portaspada; costruita nel 1209, è l’edificio più antico di Riga, e ospita il Museo delle Arti Decorative, un luogo iconico perché espressione di quell’artigianato di design, dalla ceramica all’ambra, che da secoli è patrimonio locale.
Riga e le sue chiese
San Pietro è il patrono di Riga, e la grandiosa cattedrale a lui dedicata conserva le tracce di differenti stili architettonici. Costruita secondo i canoni gotici nel 1209, fu ampliata su tre navate nel Quattrocento secondo i medesimi canoni; la facciata, invece, fu ridecorata sul finire del ’500 secondo i canoni del Rinascimento italiano, e le volute laterali sono ispirate a quelle che l’Alberti realizzò per Santa Maria Novella a Firenze. Da cattolica, la chiesa divenne luterana nel 1522, e tale è rimasta. Ricostruita dopo i danni di un incendio nel 1666 e della Seconda Guerra Mondiale, la vediamo oggi con la facciata rinascimentale e gli interni gotici. Dalla torre di 123 metri si ha probabilmente la vista più bella sulla città.
A Riga si respirano molte delle grandi culture nordiche del passato che hanno dominata la città (escludendo un ventennio fra il 1560 e il 1581, quando fu una liberà città del Sacro Romano Impero): l’allora regno di Polonia, il regno di Svezia, l’Impero Russo; quest’ultimo dominò Riga fino al 1917, e il primo Zar fu Pietro il Grande che la conquistò nel 1710, togliendola agli svedesi. Ancora oggi si può vedere (solo dall’esterno) il palazzo che fu la sua reggia: un sobrio edificio a tre piani in stile neoclassico, dalla facciata di un tenue rosa impreziosita da lesene e marcapiani. Inoltre, in un certo qual modo, Riga è legata anche all’Italia: qui, nella chiesa ortodossa della Santissima Vergine Annunciata (costruita in legno con pitture decorative interne che ricreano l’effetto del marmo, e l’iconostasi originale del 1870) e ancora oggi esistente, il 24 agosto 1932 Giuseppe Tomasi di Lampedusa sposò Alexandra von Wolff-Stomersee. Con la cattedrale della Natività di Cristo, è il punto di riferimento della minoranza russa di Riga, retaggio di un passato che in un certo senso è ancora ingombrante e non sempre facile da gestire.
L’art Nouveau a Riga
Se la Città Vecchia è un piacevole mélange di architettura medievale teutonica dalle facciate colorate, ottocentesche abitazioni in legno a uno o due piani, edifici neoclassici e neorinascimentali, l’Art Nouveau caratterizza la zona dell’espansione urbana del tardo Ottocento, costellata di parchi con aiole fiorite e alberi secolari che donano alla città un’indiscutibile aura romantica. Questo rinnovamento urbano fu possibile grazie alla ricchezza accumulata in città a seguito dell’industrializzazione con forti investimenti russi e tedeschi. L’Art Nouveau a Riga ha conosciuto diverse interpretazioni, che ancora una volta rispecchiano il complesso universo culturale cittadino: una di carattere tedesco, data la forte presenza di questa comunità, dalle linee severe e un largo uso del legno in omaggio al medioevo germanico. Un’altra, di carattere più strettamente europeo, di cui fu capostipite l’architetto russo Michail Osipovič Ėjzenštejn (padre del regista Sergej Michajlovič); visse a Riga circa un ventennio, dove realizzò edifici particolarmente ricchi di elementi decorativi floreali, ma anche scultorei che omaggiano la Grecia antica, l’Egitto e persino Babilonia. Ma la corrente peculiare lettone dell’Art Nouveau, visibile solo a Riga, fu il Romanticismo Nazionale, un movimento che ebbe breve vita, dal 1906 al 1912, ma che cercò di tradurre in architettura l’identità etnica del Paese: troviamo quindi elementi gotici che affiancano quelli locali, come i tetti che ricordano quelli delle fattorie lettoni. Le facciate severe, in pietra locale, mattoni, gesso, legno e ferro a vista, sono quasi del tutto prive di ornamenti e caratterizzate dall’asimmetria. Pur agli antipodi del decorativismo tipico dell’Art Nouveau classica, questi edifici presentano un loro severo fascino e sono la testimonianza della stagione di rinascita del nazionalismo lettone. Il nuovo stile però non si impose, giudicato eccessivamente sobrio da una committenza affascinata dai motivi mitologici e floreali, per questo fra la Grande Guerra e gli anni Trenta si re-impose l’Art Nouveau, anche se con un minor eclettismo e un maggior rigore geometrico.
LA sinagoga Peitav a Riga
Una storia a sé stante quella della Sinagoga Peitav, l’unica risparmiata dai tedeschi a Riga nel 1941, e fra le pochissime che i sovietici mantennero aperte dopo il 1945; costruita nel 1905, appartiene al gruppo Chabad e ancora oggi, nonostante i danni di due attentati neonazisti subiti negli anni Novanta, offre le sue splendide vetrate colorate, le colonne delle navate con elementi neoegizi e decorazioni a fiori di loto e foglie di palme stilizzati. Il tenue azzurro e il bianco delle pareti accentuano la luminosità dell’ambiente, ancora oggi fulcro della vita religiosa delle 350 famiglie ebraiche di Riga; una comunità che, sebbene presente nel Paese dalla fine del ’500, mise radici a Riga soltanto due secoli più tardi. In generale, la città non subì distruzioni particolarmente gravi fra il 1941 e il 1945, così come in epoca sovietica non subì interventi urbanistici invasivi, e ancora oggi Riga si offre al mondo come uno scrigno di architettura antica dai mille volti e dalle mille storie.
Il Latvian National Museum of Art di Riga
Il Latvian National Museum of Art è il museo più importante della Lettonia e il primo edificio nei Paesi Baltici progettato appositamente per scopi espositivi. In stile neoclassico con splendidi affreschi interni, è un monumento di rilevanza nazionale con una collezione d’arte lettone che spazia dalla fine del Settecento alla fine del Novecento. Fra gli artisti più rappresentativi spicca Janis Rozentāls, che nel raccontare la società lettone si è mosso fra Impressionismo, Simbolismo e Art Nouveau.nIl Museo ospita anche mostre temporanee dedicate al contemporaneo. Fino al 23 luglio 2023 è visitabile Refraction of Light, la retrospettiva su Imants Vecozols (Kārzdaba, 1933), fra i più importanti pittori figurativi lettoni contemporanei; il suo interesse per la rappresentazione della vita lettone, della vita domestica e quotidiana ne fa un esponente di spicco del figurativo del Novecento lettone e oltre. Nei suoi dipinti emerge chiara la Lettonia della sua infanzia e della sua giovinezza, attraverso uno stile sobrio, quasi “laconico”, emerge un placido racconto del quotidiano fatto di intimi ambienti domestici, suggeriti da nature morte con piatti, bottiglie, vasellame, libri, oggetti atti a ricreare la dimensione del desco familiare e suggerire la calda atmosfera della propria casa. I dipinti di Vecozols sembrano essere al di fuori del tempo, in realtà sono legati alla tradizione lettone e a loro modo, non glorificando il socialismo né facendovi cenno in alcun modo rappresentano, nei limiti del possibile, un tentativo di resistenza alla dittatura. Per lasciarsi aperta la possibilità d’insegnare all’Accademia di Belle Arti e di continuare la sua carriera di artista, anche Vecozols divenne membro dell’Unione degli artisti della Lettonia nel 1962, ma, appunto, non fu mai un devoto e prono cantore del socialismo. A partire dagli anni Novanta, ha cominciato a riscoprire stili e tecniche delle avanguardie del Novecento.
Le mostre al Latvian National Museum of Art di Riga
All’altro capo dello spettro artistico, A Matter of Time (fino al 6 agosto 2023), la personale di Vineta Kaulača (Riga, 1971) la cui ricerca concettuale punta a illustrare l’ambiguità e la relatività della percezione: il modo in cui guardiamo il mondo e creiamo un’immagine del tutto da varie parti e frammenti, sulla base delle nostre relazioni emotive con una particolare immagine e le nostre esperienze intellettuali con esso. Attraverso una decina di opere, la riflessione si concentra sull’inafferrabilità del concetto di tempo: al nostro sguardo si presenta infatti lo spazio come luogo delle cose che accadono e che costituiscono la nostra memoria; e proprio l’inafferrabile essenza del tempo, sempre soggettiva, conferisce allo spazio una nuova proporzione, aggiungendo o togliendo dettagli. Per evitare ciò, l’artista rappresenta luoghi “neutri”, senza orpelli decorativi, oggetti o altro, per cercare di capire se in questo modo, il tempo può essere recuperato o trattenuto. Un’operazione che avviene attraverso la geometria della forma e la ricerca della prospettiva, metafora appunto della ricerca di un punto fisso nel tempo, ancoraggio necessario alla fluttuante condizione dell’individuo. La pennellata pastosa e i colori caldi e brillanti accentuano la tensione psicologica che emerge da questi spazi circoscritti e solitari.
Niccolò Lucarelli
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