Le opere di Michelangelo Pistoletto per Re Lear. Intervista ad Alessandro Preziosi
La tragedia di Shakespeare va in scena nell’inedito allestimento che utilizza le opere di Pistoletto per entrare nella mente di Lear. E anche musiche e costumi sono ispirati dall’artista
Re Lear ovvero la metafora della condizione umana: caduta e creazione. Lear ama solo sé stesso, la mancanza d’amore l’ha portato alla follia e alla solitudine. Lear vaga in una landa di nulla con cui il sovrano senza più corona dovrà fare i conti.
Aspettando Re Lear di Tommaso Mattei da Shakespeare – dopo l’anteprima di Napoli – debutta al Teatro Romano di Verona il 20 luglio (replica il 21 luglio) con Alessandro Preziosi (Napoli, 1973) alla regia e nel ruolo del protagonista. L’attore ha pensato di muovere i personaggi della tragedia tra le rovine del potere, sprofondati nel nulla e in una attesa alla Beckett. “È come se Re Lear prevedesse l’inevitabile nulla che ci attende come risultato del fatiscente ordine permanente, proprio come Aspettando Godot ci rivela quel che accade dopo che il vecchio cade“.
Sul palco ci saranno le opere di Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933), artista che Preziosi ha incontrato al Chiostro del Bramante in occasione della mostra INFINITY.
Intervista ad Alessandro Preziosi. L’incontro con Michelangelo Pistoletto
Perché Michelangelo Pistoletto?
Stavo scrivendo l’adattamento del Re Lear ed ero alla sua mostra al Chiostro del Bramante. Al secondo piano mi sono imbattuto nel suo labirinto di cartone. Quella era l’idea giusta per raccontare la tempesta di Lear, un labirinto concettuale, lo smarrimento della vita morale.
L’idea è nata cercando un luogo mentale per entrare nella mente di Lear attraverso le opere di Pistoletto.
Poi sono iniziate le coincidenze, le assonanze, i riverberi tra l’opera di Shakespeare e quella del maestro, come ad esempio il tema del rapporto tra padre e figli, solo per dirne una.
Come si sono innestate nel processo creativo e registico le opere?
Abbiamo giocato a carte coperte svelandoci di volta in volta le scelte che si rivelavano reciproche e coincidenti. Cercavamo tra le opere la natura installativa e quella museale da potenziare con le luci di scena per farle diventare parte del lavoro teatrale, come i luoghi del copione: la sede del processo, la scogliera, il luogo in cui è imprigionato Lear, il tavolo in cui avvengono le conversazioni.
Quindi cosa vedremo sul palco?
Gli “oggetti in meno”. L’oggetto – dice Pistoletto – è un’idea di cui ci si libera facilmente per far posto ad altre idee. Un pensiero in meno. Liberarsi dell’opera facendola vivere in maniera imprevedibile. In fondo è così anche per il teatro. È il teatro che celebra la vita in tutte le sue possibili potenzialità.
Uno dei temi fondamentali è portare Lear all’essenziale, da qui la scelta di affidare la sartoria a una sezione della Cittadellarte. Perché abbiamo lavorato sul “meno” anche con i costumi. Alla fine creeranno una suggestione che rimanda alla su Venere degli stracci.
Michelangelo Pistoletto e Re Lear
Quindi Pistoletto non è solo alla fine del vostro dialogo creativo…
No, il suo Terzo Paradiso ha ispirato parte delle musiche dello spettacolo. Ma se ci si pensa il teatro stesso è il Terzo Paradiso, l’incontro tra l’umano e l’artificiale. C’è una frase del copione illuminante: “In questo percorso di vita la natura vince l’arte”.
Non c’è il rischio, meraviglioso tuttavia, che le opere con i loro codici portino la comunicazione dello spettacolo altrove? Rendendola ancora più complessa e inestricabile?
In maniera chiara abbiamo lasciato che il prologo permettesse al pubblico di entrare in una sorta di museo. Le opere vivono di una vita astratta ma solo l’osservatore dà vita all’opera.
Anche Pistoletto in fondo pensa che nel momento in cui si riesce a rendere il visitatore parte dell’opera si sia centrata la missione dell’arte. Ho accettato questo rischio, di uno scomodo riflesso.
L’opera perde però la sua originalità e autonomia concettuale per essere funzionale al discorso della regia…
Pistoletto ci ha chiesto questo. Lui fa un passo indietro per assistere all’utilizzo di un’altra disciplina. Ci ha chiesto di chiamarli “oggetti di scena”. L’assonanza rispetto al testo poi è stata strabiliante.
Il palcoscenico del Romano ha dimensioni importanti, come rimodulerete le relazioni tra gli oggetti nella tournée?
Abbiamo una scatola nera che permette una profondità inimmaginabile. Le opere sono illuminate ora con luce calda, ora fredda. È un esperimento. Il modo in cui utilizzare i cartoni e il labirinto per la tempesta di un uomo, è già un fatto indicativo e significativo. L’impatto di avere sei opere in scena che funzionalmente scandiscono il racconto ne restituirà alla fine una inedita comprensione.
Non solo il contemporaneo ma anche il moderno spesso ha ispirato le sue regie, ricordiamo gli inchiostri nel suo Don Giovanni…
Ho sempre interagito con l’arte che mi ispira, nella galleria arte moderna io traggo suggestioni utili.
In quest’occasione tutto quello che arrivava da Pistoletto si trasformava. Quando ho visitato la sua Fondazione ho visto all’ultimo piano una sequenza su uno dei suoi specchi: padre figlio, figlio padre: la sfida era nell’aria. Nello spettacolo ci sono cinque attori che si sobbarcano le storie interpersonali attraverso citazioni, si autocitano, citano le sorelle e i fratelli. Quindi anche gli specchi di Pistoletto hanno rafforzato le scelte registiche.
Pistoletto cosa ha detto dello spettacolo? Forse aveva nostalgia dei suoi Zoo…
Ancora non lo ha visto. Abbiamo provato con delle sagome delle sue opere e nella simulazione ancor di più è emersa l’essenzialità. Certo noi lo abbiamo preso nel tempo che più lo sta celebrando. Vedrà il lavoro a Verona (20 e 21 luglio NdR) e sicuramente lo spettacolo andrà alla Cittadellarte.
Simone Azzoni
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